Scritto da Pensiero Distillato Calendario Avvento

Brina Malasorte – 18 dicembre

Racconto “Brina Malasorte” – Terza parte

«Ehi ragazza, sei mica diretta al palazzo della fata di Mezzanotte?»
Brina fissò incerta il vecchio che aspettava una risposta. Non aveva la più pallida idea di chi fosse quella fata, ma da qualche parte era pur diretta, quindi perché non proprio a quel palazzo? Annuì esitante.
«Oh bene, ti ho trovata! Guarda che hai sbagliato strada. Devi andare per di là, dai salta su che ti ci porto io. La fata ti aspettava ieri, sono venuto a cercarti. Sei stata fortunata, pensa dove saresti andata a finire senza di me!»
Brina rimase in silenzio, non sapeva che dire. Se la fata conosceva la persona di cui parlava quel vecchio, di certo si sarebbe subito accorta dell’errore, ma forse avrebbe avuto il buon cuore di offrirle un riparo per la notte. Meglio tentare!
Il palazzo della fata di Mezzanotte non era un palazzo tanto per dire, era un vero e proprio palazzo alto due piani dipinto di blu notte, con finimenti blu oltremare su porte e finestre.

«Eccoci arrivati ragazza, scendi e buona fortuna.»
«Buona fortuna?»
«Sì, buona fortuna! Vai che la fata ti sta aspettando e le fate non si fanno MAI aspettare!»
Il vecchio se ne andò lasciando Brina a qualche passo dall’ingresso. La ragazza stava per bussare quando la porta si aprì e una voce dall’interno la invitò a entrare. Brina obbedì e la porta si richiuse alle sue spalle.
«Bene, sei arrivata infine», dichiarò la fata comparendo all’improvviso davanti a Brina che, spaventata, fece tre passi indietro.
«Oh, mi scusi io non so… cioè, io non sono, credo di non essere la persona che stava aspettando.»
«Certo che sei tu. La sai tenere pulita una casa?»
Brina annuì confusa.
«E allora non c’è altro da dire. Inizierai domani. Ora ti mostro la tua stanza.»
Brina seguì la fata che la condusse al piano di sopra.
«Questa è la tua stanza, dentro vi troverai anche la cena: saziati e riposa. Domani mattina ti spiegherò le tue mansioni. Solo un avvertimento: non uscire dalla tua stanza per nessuna ragione al mondo fino a domani mattina. Hai inteso?» la redarguì la fata. Brina la rassicurò di aver inteso e la fata sparì. Brina entrò nella stanza e si richiuse la porta alle spalle: nulla di sfarzoso, come invece si sarebbe attesa dopo aver visto il palazzo, ma una stanza a modo suo molto bella. Semplice, pulita, piccola ma accogliente e con un invitante tavolo ricolmo di prelibatezze: pane bianco ancora tiepido, un tortino di carote invitante e un altro piatto con patate al forno e due fettine di arrosto. Brina strabuzzò gli occhi nel vedere cibi che mai aveva potuto assaporare in vita sua e sperimentò la strana sensazione di avere l’acquolina in bocca. Scorse anche una ciotola con frutta fresca, fragole e nespole, e un ciotolino con una strana crema gialla spruzzata di polvere marrone. Ci tuffò il dito dentro e se lo portò alla bocca: dolce, un’esplosione di dolcezza. Cos’era mai quella delizia? Qualcosa di fatato, sicuramente, pensò Brina. Doveva essere un incanto quella cena, non vi erano altre spiegazioni. Brina si sedette e si gustò ogni singolo piatto e ciotola, senza lasciare una briciola, neppure del pane.
Qualcuno la stava davvero aiutando, era innegabile. Brina quella notte aprì la finestra e tuffò lo sguardo nel blu infinito del cielo. Non vi erano che distese di alberi davanti a lei e le stelle, dorati puntini, sopra di lei. «Grazie», sussurrò e poi si sorprese a canticchiare. Era lontana da casa, in balia dell’ignoto eppure, eppure mai come in quel momento si era sentita al sicuro, protetta.

«Eri tu che cantavi stanotte?» chiese la fata la mattina seguente. Erano nel piccolo patio sul retro del palazzo, davanti a loro una tavola imbandita per la colazione.
«Oh mi scusi signora fata, non credevo potesse sentirmi. Mi dispiace», si scusò Brina abbassando lo sguardo.
«Ma no, che dici, è stato un piacere, mi hai tenuto compagnia mentre lavoravo.»
«Lavoravate signora? Di notte?»
«Certo! Non mi chiamo fata di Mezzanotte per vezzo!»
Brina avrebbe voluto saperne di più, ma la fata non aggiunse altro e lei non osò chiedere.
Dopo la colazione la fata diede a Brina ramazza, secchiello, spugna e strofinaccio e le disse che quella sera ci sarebbero stati ospiti quindi il palazzo doveva risplendere come la luna piena in una notte tersa. A Brina piacque la metafora e si mise al lavoro.

Racconto tratto da Fiabe Moderne di Lara Marzo

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Tag: Last modified: 19 Dicembre 2024