Calendario dell’Avvento 2024
Racconto “Brina Malasorte” – Quinta parte
Dormì male quella notte e il mattino dopo, scesa per la colazione, la fata l’accolse con un lieve sorriso.
«Questo è il tuo ultimo giorno qui Brina.»
«Perché fata? Ho fatto qualcosa di male?» chiese rammaricata. Ma sapeva di averlo fatto anche se non capiva in che modo.
«Hai visto e ora devi andare, riprendi il tuo viaggio. Prima, però, voglio darti una cosa» e la fata porse a Brina una palla dorata. «Porta con te il potere della luna piena. Quando avrai bisogno di luce saprai dove trovarla. E ora vai, non aspettare oltre.»
Brina avrebbe voluto dire qualcosa, chiedere scusa ma non ne ebbe il tempo. All’improvviso la stanza intorno a lei, la fata, l’intero palazzo scomparirono e lei si ritrovò per strada, con il suo fagotto e la palla dorata tra le mani. Le si riempirono gli occhi di lacrime e rimase a fissare un punto davanti a lei, lo stesso punto dove fino a pochi istanti prima si trovava la fata.
Quando le lacrime smisero di scendere, mise la palla nel fagotto e riprese il cammino.
Camminò piano, senza meta, vergognandosi di aver disubbidito. Le cinciallegre cantavano, un leggero vento giocava a nascondino tra le foglie e Brina iniziò a cantare tra sé e sé.
Non posso restare, la fata m’ha cacciata
In dono una palla d’oro è arrivata
Se non avessi disubbidito, forse avrei resistito
Ma due occhi, due occhi neri m’han chiamata
Ieri notte, al ballo han visto me, loro amata.
Sapevo che c’eri, sapevo di te prima di ieri
E ora che farò? Dove andrò? Ti ritroverò?
È triste il mio destino, mi chiamo Malasorte
Eppure tu c’eri, t’ho visto e il cuore batteva forte.
Brina camminò a lungo finché scorse in lontananza un palazzo molto simile a quello della fata di Mezzanotte, solo che questo era tutto giallo oro con i finimenti di porte e finestre in arancione ambrato.
Temette che la sua cattiva reputazione si fosse già sparsa tra le fate e fece per imboccare un’altra strada quando sentì una voce alle sue spalle: «Dove vai ragazza? Ti pare il modo di fare?»
Brina si voltò sorpresa e si ritrovò faccia a faccia con una donna alta e magra, dall’aria severa. «Io…» farfugliò, ma la donna la prese per un braccio e la costrinse a seguirla.
«Qui non siamo al palazzo di Mezzanotte, qui le cose si fanno alla luce del giorno e senza troppi giri di parole. Ora vieni che c’è bisogno di te.»
«Di me? Ma io non…»
La donna non le permise di replicare, la strattonò ancora più forte affinché accelerasse il passo. Arrivarono al palazzo in un batter d’ali e la donna guidò Brina all’interno.
«Mi hanno detto che sei brava nella cura dell’orto ed è quello che ci serve qui. Puoi mangiare qualcosa, se preferisci, e poi troverai grembiule, zappa e cesta fuori. Io ora devo andare, questa sera voglio trovare il terreno ben dissodato. Forza, non hai più molto tempo, saresti dovuta arrivare prima.»
Brina fece appena in tempo a voltarsi che la donna era sparita. Che non fosse anche lei una fata? Così scorbutica non poteva essere! Eppure meglio ubbidire ed evitare di contrariarla ancora di più. Brina vide che l’attendeva un ricco pranzo e si emozionò: in tutta la sua vita non aveva fatto altro che mangiare cavoli e rape, raramente un pezzetto di carne selvatica e ora, in appena una settimana, aveva provato un numero straordinario di nuovi cibi: c’erano verdure di ogni tipo, tutte di stagione, e poi formaggi, pane fresco e frutta. Non finiva mai. Oh, se i suoi genitori fossero stati lì e avessero visto tutto quel ben di Dio! Sicuramente avrebbero cambiato idea sulla vita e sul fatto che tutto fosse sempre scarso e precario.
Dopo essersi rifocillata, Brina decise di dare un’occhiata alle altre stanze del palazzo, provò ma le trovò tutte chiuse e non ebbe il coraggio di salire al primo piano. Così si diresse verso la porta finestra che conduceva all’esterno. Quella era aperta e si affacciava su un bel giardino curato e su un orto, ben più grande del suo, che aveva evidente bisogno di due mani che si prendessero cura di lui. Brina indossò il grembiule, prese zappa e cesta e si mise al lavoro. Rieccola a rimestare la terra, ad assaporarne l’odore, a strappare erbacce e a riporle nella cesta. Finì che ormai il sole era tramontato e le ombre si allungavano sul terreno smosso.
Si asciugò il sudore sulla fronte e rimise gli attrezzi dove li aveva trovati, grembiule compreso.
«Bene, hai finito per oggi», la signora del palazzo comparve alle sue spalle e Brina sussultò. «Ora puoi rientrare. Ti mostro dov’è la tua stanza: ti puoi lavare, cambiare d’abito e per allora la cena sarà pronta.»
Brina obbedì. Durante la cena la donna si presentò come la fata di Mezzogiorno e disse che l’indomani avrebbero fatto colazione presto, molto presto, perché lei aveva ospiti subito dopo. Brina sarebbe rimasta nell’orto a lavorare la terra e non avrebbe dovuto rientrare per nessun motivo.
Il giorno dopo fecero colazione e Brina fu spedita nell’orto mentre il rumore delle carrozze che arrivavano scalpicciava nell’aria.
Leggi la sesta parte del racconto (21 dicembre)
Fiabe Moderne di Lara Marzo
Racconto tratto daIl calendario dell’Avvento 2024
Immagine in apertura di Sandie Clarke