Scritto da Pensiero Distillato Calendario Avvento

Il ventunesimo – 10 dicembre

Racconto “Il ventunesimo” – Prima parte

Pesca una carta. Era il saluto con cui nonna Agnese accoglieva Estelle a ogni visita. La nipote sceglieva una carta, tra quelle stese a ventaglio davanti a lei, e poi aspettava che la nonna pronunciasse il verdetto. Ogni volta, Agnese soppesava la carta, osservandola con occhio critico, prima di posarla davanti a Estelle, sul tavolo in formica azzurra. Dopo di che le raccontava una storia: poteva trattarsi di una storia che le apparteneva o della storia di qualcun altro, comunque fosse Estelle ne rimaneva sempre affascinata.
In più di un’occasione, però, la nipote si era accorta che la nonna rispettava il rituale solo quando lei andava a trovarla da sola: in presenza dei suoi genitori, Agnese rimaneva in silenzio e volgeva spesso lo sguardo oltre la finestra, in contemplazione di qualcosa a loro precluso. Non era sempre stato così, prima del suo ricovero nell’ospizio la nonna era stata un’altra persona: vivace, determinata, a tratti autoritaria. Tutto il contrario della madre di Estelle, che era poi sua figlia.
Una volta Estelle si era avventurata a chiederle perché avesse accettato di lasciare la sua casa e Agnese le aveva risposto: «Preferisco così, bimba mia.»
«Ma perché? Cos’è cambiato rispetto a quando abitavi per conto tuo?» «Eh, ho combinato qualche guaio, non sono più in forma come un tempo. Adesso i tuoi genitori non si fidano più di me, ma vivere con loro… oh bimba mia, semplicemente preferisco così.»

Estelle, però, non si era data per vinta. Odiava quel posto, l’odore, i colori, la sensazione di precarietà e indolenza. Come se tutto il bello fosse stato scaraventato fuori da lì, senza alcuna possibilità di potervi rientrare. Sua nonna era la persona più brillante che Estelle avesse mai conosciuto: come faceva, quindi, ad accettare una vita del genere dove ogni ora era scandita da una regola che non poteva essere infranta, mai? «Non capisco, spiegami nonna. Qui è così triste, non puoi andare da nessuna parte! Come fai ad accettarlo?»
Agnese si era portata un dito nodoso alla testa e aveva sussurrato: «Con questa vado ancora dove voglio, non ti preoccupare per me. Piuttosto bada a te stessa, che tu scelga sempre la tua strada e non quella tracciata da qualcun altro.»
All’inizio, quando erano i suoi genitori a decidere, Estelle si recava dalla nonna una volta al mese, ma poi era cresciuta e le era stato concesso di avventurarvisi anche da sola. Prendeva il treno nel primo pomeriggio, appena dopo pranzo, e rimaneva sull’attenti per tutto il viaggio: non vedeva l’ora di varcare la porta che divideva il mondo in cui viveva lei da quello in cui la nonna l’avrebbe esortata a pescare una carta.

L’ultima volta Estelle aveva atteso più del solito che la nonna gliela mostrasse: era rimasta a fissarne il dorso bianco decorato da piccoli rombi viola mentre Agnese sembrava essere in ascolto, come se ci fosse un dialogo segreto tra lei e la carta. Poi l’aveva girata piano e l’aveva posta davanti a Estelle che aveva letto: Il mondo.
«Oh bimba mia», aveva infine detto la nonna. «È arrivato il tuo momento, stai per spiccare il volo. Prendi bene la rincorsa, mi raccomando.»
«Nonna, cosa vuoi dire? Sta per succedere qualcosa?» Estelle aveva imparato che le carte non raccontavano nulla di quello che sarebbe potuto accadere fuori, ma piuttosto di quello che stava accadendo dentro. Eppure scopriva sempre di aspettare il responso della nonna con un certo timore. Agnese aveva riso scuotendo la testa: «Niente che io possa sapere, è tutto nelle tue mani.» Estelle aveva sperato in qualche altra parola, ma la nonna negli ultimi tempi aveva iniziato a perdersi sempre più nei suoi pensieri. Da quando viveva nell’ospizio, Estelle l’aveva vista spegnersi un poco alla volta, a straniarsi fin quasi, in alcune occasioni, a non riconoscere la nipote oppure a scambiarla per sua madre, Graziella. Col tempo Estelle aveva compreso il motivo per cui sua nonna aveva accettato quella nuova sistemazione: era una donna intelligente e aveva colto, prima di tutti, i segnali di quanto le stava accadendo. Si era ritirata con dignità e aveva accettato di trascorrere i suoi ultimi anni dove nessuno si sarebbe dovuto preoccupare per lei. Del resto, Estelle ne era consapevole, i suoi genitori non si sarebbero mai potuti prendere cura di Agnese, sua madre men che meno. Da quando la smemoratezza della nonna si era accentuata, Graziella aveva evitato ogni contatto. Estelle l’aveva sentita dire che il suo era un dolore sconfinato, il dolore di una figlia devota e affranta: troppo devota e affranta per sopportare la realtà di una madre che stava perdendo la ragione. Graziella accampava sempre un valido motivo per declinare gli inviti di Estelle ad accompagnarla: un mal di testa o un capogiro improvviso erano i suoi carcerieri più assidui.
A Estelle mancava l’Agnese della sua infanzia, i loro pomeriggi dopo la scuola, le passeggiate per i campi, le risate, le esortazioni della nonna a fare sempre il meglio che poteva, senza fissarsi troppo sul risultato.

Racconto tratto da Fiabe Moderne di Lara Marzo

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Immagine in apertura di Joanna Kosinska

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Tag: Last modified: 11 Dicembre 2024