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Racconto “Il ventunesimo” – Seconda parte
Il giorno in cui ricevettero la telefonata, Graziella rimase a letto per tutto il pomeriggio mentre il padre di Estelle, dopo aver appreso la notizia della morte di Agnese, non rientrò a casa fino a sera tarda. Estelle sapeva che ognuno affrontava il dolore a modo suo, ma i suoi genitori erano maestri nel dimostrarlo nei modi più bizzarri. A sua madre sembrava avessero donato un cuore troppo fragile e codardo, a suo padre uno a cui saltava qualche battito ogni tanto.
Ironia della sorte Agnese se l’era portata via un cuore che, alla fine, si era fermato prima che la testa l’abbandonasse del tutto. L’ultima volta che lei ed Estelle si erano viste, Agnese sembrava tornata ad essere padrona di se stessa. Le aveva indicato le carte disposte a faccia in giù sul tavolo e aveva detto: «Questa volta scelgo io» e aveva toccato una carta facendola scivolare verso di sé. L’aveva girata: Il mondo. Anche per lei la stessa carta. Agnese aveva sorriso tra sé e sé rimirandola e poi aveva sollevato lo sguardo su Estelle: «È arrivato anche per me il momento di spiccare il volo. Finalmente.»
«Ma cosa significa questa carta?» aveva domandato Estelle. «Non me l’hai spiegata come invece hai fatto per tutte le altre.»
Agnese era rimasta in silenzio poi, scuotendo la testa, aveva rimesso la carta tra le altre, raccogliendole in un mazzo ordinato.
«Questa non si può spiegare, la si può solo vivere e per ognuno è diverso.»
Quel pomeriggio Agnese aveva preso per mano Estelle e l’aveva accompagnata in uno dei suoi viaggi dentro: si erano avventurate nella terra dei ricordi, avevano scalato montagne di esperienze e si erano tuffate nel più buio degli abissi tornando a galla con qualche perla rara che Agnese aveva segretamente custodito per tanti anni prima di condividerla con la nipote. «Per quanto io non abbia rimpianti», le aveva rivelato Agnese, «ogni tanto mi chiedo se con tua madre io non abbia sbagliato. Forse avrei dovuto essere più dura o forse più dolce. Avrei dovuto insegnarle a essere più coraggiosa o forse più paziente.» Aveva sospirato prima di proseguire: «Ma a questo punto che importanza può avere? Lei è diventata madre a sua volta e non ha imparato.» Agnese aveva sollevato le spalle: «E io non ci posso fare niente.»
Estelle l’aveva guardata, le mani stanche della nonna posate sul mazzo di carte al centro del tavolo.
«Mamma non ha colpa se è sempre triste, lo sai nonna, non ci può fare niente se si sente così», aveva replicato Estelle prendendo le difese della madre, come era sempre stata abituata a fare.
«Non parlo di colpe, bimba mia, neppure per me stessa. Parlo di responsabilità: mi chiedo se avrei potuto fare meglio, ma poi mi rendo conto che ho fatto quello che potevo e forse è il meglio che possa fare ciascuno.»
Il primo mese dopo il funerale, un pomeriggio Estelle si era ritrovata in stazione, come se non potesse farne a meno. Era salita sul treno, come aveva fatto per anni, ma quando si era seduta e il treno era ripartito, il suo sguardo era scivolato sul paesaggio, alla deriva, e si era accorta che stava andando in un luogo dove non vi era più nessuno ad attenderla.
Quell’ultima volta in cui si erano viste, ricordava Estelle, la nonna aveva detto: «Nessuno ha colpa della propria tristezza, bimba mia, ma se non se ne prende la responsabilità ne sarà sempre in balia. Non commettere lo stesso errore di tua madre Estelle, non vivere come una mendicante se sei nata regina.»
Leggi la terza parte del racconto (12 dicembre)
Fiabe Moderne di Lara Marzo
Racconto tratto daNelle puntate precedenti…
Immagine in apertura di Viktor Forgacs