Articolo scritto nel 2007
Pensate all’ultima volta che vi siete detti: “Se potessi tornare indietro…” O all’ultima volta che avreste desiderato cancellare un ricordo, far finta che un fatto non fosse mai accaduto.
Bene, oggi il vostro desiderio può essere esaudito.
Niente a che vedere con la possibilità di viaggiare nel passato, non ancora perlomeno, quanto con quella di selezionare un ricordo e decidere se conservarlo o gettarlo nella spazzatura del mai vissuto.
Qualche mese fa i media avevano annunciato la sperimentazione di una pillola che, se avesse rispettato le promesse, avrebbe permesso la cancellazione parziale dei ricordi.
La notizia, come di consueto, aveva scatenato opinioni contrastanti finché all’inizio di luglio sono stati resi ufficiali i risultati della sperimentazione: checché ne pensino i suoi oppositori la pillola sembra funzionare. Soprannominata “pillola dell’amnesia selettiva“, è stata presentata come una scoperta rivoluzionaria in grado di cancellare alcuni ricordi dalla mente umana senza intaccarne altri.
In pratica, la pillola è stata pensata per aiutare persone vittime di gravi traumi che la psicoterapia e le cure convenzionali non sono state in grado di guarire. Persone che soffrono di gravi forme di depressione e altri sintomi dovuti al verificarsi di un particolare evento passato che li ha segnati irreversibilmente: persone che sono state vittime di violenze, abusi e soprusi di ogni tipo.
Considerate le premesse dello studio sulla pillola… chi avrebbe il cuore di impedirne l’utilizzo? Quali argomentazioni possono essere avanzate a suo sfavore? La prima, naturalmente, è quella di un possibile abuso del farmaco pensato solo per persone colpite da gravi traumi e non per lo sfizio di tutti gli esseri umani.
La seconda si rifà alla convinzione che, in fondo, il ricordo sia importante perché su di esso si basa l’esperienza e la crescita umana.
La terza spiega che anche quello che si presenta sotto le vesti di un angelo può improvvisamente gettare la maschera e rivelarsi un diavolo.
Il male può fingersi bene, ma anche il bene può fingersi male… il limite degli esseri umani è di non essere veramente in grado di distinguere l’uno dall’altro.
In una società che sforna pillole per vivere, sopravvivere e morire, una pillola per cancellare i ricordi, in effetti, è una vera rivoluzione. O forse no?
Forse la vera rivoluzione è l’aver portato alla ribalta un fatto con cui tutti dobbiamo convivere ogni giorno ma che nel clamore della scoperta è scivolato in secondo piano: l’importanza della memoria, l’ossessione del ricordo che può anche impedirci di vivere una vita serena e relativamente “normale”.
Se il ricordo fosse solo la colonna portante dell’esperienza non avrebbe il potere di paralizzarci di fronte a ciò che di brutto può essere accaduto e che l’istinto di sopravvivenza farebbe impedire di accadere una seconda volta.
Come a dire: “Quell’evento mi ha ferita, quel dolore mi ha devastata, non gli permetterò mai più di farmi del male perché stare male equivale a morire e io, invece, sono viva e voglio vivere.”
Le ferite psichiche, i traumi, il dolore del ricordo, però, hanno ben poco di razionale ed è per questo che la nostra società ha pensato ad una nuova pillola e si è detta che, per molte persone, avrebbe rappresentato una seconda occasione: anche loro avrebbero potuto ricominciare a vivere.
Cosa rende la memoria, il ricordo così potenti? A tal punto potenti da determinare la qualità della nostra vita?
Una ricerca scientifica sul funzionamento del cervello umano ha provato a fornire una risposta e sembra esserci riuscita. O perlomeno ha aperto la strada a nuove possibili ricerche volte all’approfondimento dello studio.
A quanto pare, i risultati della ricerca hanno dimostrato che “le regioni del cervello che usiamo per ricordare sono le stesse che usiamo per immaginare”[1]. In poche parole: ricordare e immaginare sono attività celebrali simili, quasi identiche. Sembra, infatti, che chi ha perso la memoria sia anche incapace di immaginare il futuro.
Da questa scoperta gli scienziati hanno tratto la conclusione che “il cervello usa i ricordi come materia prima per costruire possibili futuri” e che “una delle principali funzioni della memoria è quella di rimescolare brandelli del passato in modo diverso per immaginare possibili futuri”.[1]
Se questa è la realtà allora non sorprende che le vittime di gravi traumi non riescano a superare il dolore, con la sola forza di volontà, e cadano vittime della depressione: nella nostra mente quello che è successo è anche quello che continua a ripetersi nel futuro. Non ci è successo una volta, ma continua a succederci, dieci, cento, mille volte e proprio per il fatto che ci è capitato potrebbe ricapitarci.
La memoria è compulsava in questi casi, i ricordi non danno tregua e spazzano via ogni momento felice, ogni brandello di serenità.
Abbiamo bisogno di una pillola per far fronte alla cattiveria umana perché il nostro cervello non è stato programmato per affrontarla e superarla da solo.
Eppure esiste anche l’altra faccia della medaglia: quella per cui il passato è uno dei pilastri della nostra identità, quel passato che abbiamo percorso passo dopo passo, quello di cui abbiamo fatto esperienza per crescere e affermarci come individui.
John Berger, nel suo articolo Cancellare il passato, afferma: “Il modo più efficace per distruggere il senso di identità di qualcuno è demolire e frammentare meticolosamente la storia che una persona si è raccontata fino a quel momento sulla sua vita, cancellare il passato.”[2]
È questo quello che succede a chi subisce gravi traumi? È come se il loro torturatore si impossessasse del loro personale passato e della loro identità? E al posto di quel passato e di quell’identità scavasse un buco nero e ci gettasse dentro il proprio personale passato di nulla e crudeltà?
Dopo quella notte buia accade che non esistano più notti con la luna o sotto le stelle. Le notti buie si moltiplicano all’infinito, diverse e identiche al contempo.
Una pillola di certo non salverà il genere umano da se stesso e non c’è dolore o ricordo che, represso, prima o poi non ritorni alla luce, ma anche se nascere può non essere una scelta, vivere è un diritto di tutti, in primo luogo di chi, più debole, deve affrontare la propria insostenibile vulnerabilità.
Se la nostra identità si fonda sul nostro passato, sulle scelte compiute, sugli atti di eroismo e codardia, sulle promesse mantenute e quelle infrante, se di tutto questo si compone la nostra memoria, allora anche la qualità del nostro passato è importante per determinare il nostro futuro.
Nella società non esistono carnefici perché esistono vittime o viceversa, la società si compone di persone che vivono quotidianamente un presente che domani diventerà il loro passato e guiderà il futuro. Ecco perché vivere nel passato non ha senso e perdersi nel futuro è deleterio: se non si è qui e adesso non si potrà essere stati ieri e, di certo, non si sarà domani.
Non è la filosofia a dirlo questa volta, ma la scienza.
Immagine di Igor Ovsyannykov