Alla fine del post “Alla ricerca della felicità – Parte II” scrivevo:
Ora tornate pure alla vostra vita quotidiana, lasciate che la vocina vi continui a dare dell’imbecille di tanto in tanto, non è più un problema. Continuate a osservarla senza giudizi.
Una lettrice mi ha chiesto: “Come faccio a osservarla senza giudizi? Quella vocina sono io… o meglio, è un’emozione che provo, fa parte di me. Sono io che penso di me queste cose negative, che le provo ogni giorno. Come faccio a “osservarla” come se fosse qualcosa di “altro” rispetto a me?“
Ottima osservazione da cui prendo spunto per approfondire il tema e, spero, fornire qualche informazione utile per chiarire il concetto.
C’è un presupposto da cui partiamo per tracciare una linea di demarcazione tra ciò che siamo e ciò che non siamo: tutto quello che nasce dentro di noi (emozioni e pensieri) ci rappresenta e ci identifichiamo con lui. Diciamo: io sono arrabbiato, io sono felice, io sono triste, io sono innamorato, e ancora io penso che questo sia giusto, io penso che questo sia sbagliato.
Allo stesso modo riconosciamo la vocina sputa-sentenze come “nostra” e non capiamo come ci possa essere un altro “noi” capace di osservarla.
In realtà siamo semplicemente abituati a identificarci con emozioni e pensieri perché nessuno ci ha mai mostrato una strada diversa.
Vi faccio un esempio: un vostro caro amico sta vivendo un periodo difficile, è depresso e passa la maggior parte del tempo a lamentarsi. Gli siete affezionati quindi volete aiutarlo rimanendogli accanto e mostrandogli che la vita non è dipinta solamente in toni di grigio.
Il tempo passa, ma il vostro amico non accenna a migliorare. Il suo umore è sempre pessimo e voi iniziate a pensare: “Certo che con questo atteggiamento è anche lui che se le attira le sfighe! Si lamenta di non avere amici… mi stupirei del contrario. Sfido chiunque a sopportarlo! Io davvero non ce la faccio più… ora me ne vado.” Avete appena iniziato una filippica mentale contro di lui quando un altro pensiero fa capolino e si colora di un sottile senso di colpa: “Poverino però, sta davvero male… e io che amico sarei se lo lasciassi solo proprio in questo momento? Sono un infame anche solo a pensarlo, gli amici si vedono nel momento del bisogno… certo che però è davvero insopportabile…”
Dentro siete tormentati da pensieri contrapposti in cui vi identificate, da emozioni (ad esempio sentite un moto di affetto nei confronti del vostro amico, ma al contempo lo prendereste a pugni quando si lamenta dell’universo e oltre) o da quelle che possiamo chiamare “vocine”: qualunque sia l’etichetta che gli affibbiamo, la sostanza non cambia.
Chi siete voi? Il flusso di pensieri e di emozioni che vi attraversa? Questo è quello che credete di essere. Quello in cui vi identificate perché fa abbastanza rumore dentro di voi da attirare la vostra attenzione.
In realtà usiamo il verbo sbagliato perché noi abbiamo emozioni e pensieri che possono cambiare nel corso tempo, evolvere o involgere, trasformarsi, ma non siamo le nostre emozioni e i nostri pensieri in quanto l’essenza si rifà a qualcosa di “immutabile” e costante.
Facciamo un esperimento: rilassatevi per un attimo in un posto tranquillo, chiudete gli occhi e chiedetevi “Quale sarà il mio prossimo pensiero?” Rimanete in ascolto. Potete anche porvi altre domande del tipo: “Di quale colore sarà il mio prossimo pensiero? Oppure quale sapore avrà?”
Se provate a porvi la domanda scoprirete l’esistenza di un spazio dentro di voi: quello del silenzio. È l’attimo tra la fine della domanda e il primo pensiero che emerge quando vi rendete conto che la mente non sa quale sarà il suo prossimo pensiero. E non lo sa perché pensa in automatico.
Nell’esempio dell’amico depresso in voi c’è una parte solidale che vuole aiutarlo e una parte ribelle che non sopporta il suo atteggiamento, ma voi non siete né l’una né l’altra, voi siete il silenzio tra le parti, quello che in psicologia e in altre discipline viene chiamato l’Io Osservatore. Nella vostra personalità sono presenti entrambe le parti che litigano e si giudicano, ma voi non vi esaurite in esse.
Diventare consapevoli di questa distanza è il primo passo per dare una svolta alla nostra vita. Finché ci identifichiamo con tutto quello che ci passa per la testa e con le emozioni che proviamo (anche con quelle che rifiutiamo) rimaniamo prigionieri dei nostri fantasmi e dei giudizi.
La libertà arriva quando ci permettiamo di “stare” con le nostre “vocine” e iniziamo a osservarle consapevoli che sono una parte di noi, ma non rappresentano il nostro “essere”.
L’Io Osservatore non giudica, permette a tutte le parti di esistere senza identificarsi in loro e per questo è libero di essere.
Possiamo sia voler bene al nostro amico sia trovarlo insopportabile: l’Io accetta la contraddizione apparente e grazie a lui le nostre scelte diventano consapevoli.
Possiamo decidere di rimanere accanto al nostro amico depresso oppure andarcene conservando per lui lo stesso amore. Non c’è giudizio, non ci sentiamo amici speciali nel primo caso né schifosi egoisti nel secondo, siamo semplicemente presenti a noi stessi e iniziamo a scegliere in modo cosciente e libero.
Fantastico! Quandoi scoprii Krishnamurti furono riflessioni di questo tipo che mi fecero capire quanto viviamo immersi in un sonno profondo!
E’ bello ritrovare la verità di queste parole
Vero, in un certo senso è come se ci si risvegliasse da un lungo sonno e si iniziasse ad osservare gli altri e noi stessi con occhi nuovi. In particolare ci si rende conto di quanto la nostra vita sia spesso fatta di reazioni invece che di azioni. Alle volte basta questo per decidere di abbandonare la vecchia strada per imboccarne una nuova, più ricca, appagante e, soprattutto, consapevole.
Grazie. Hai uno stile asciutto e diretto. Trovo molte affinità con la “disidentificazione” di Assagioli .
Grazie Giuseppe! Hai ragione, il concetto di Io osservatore è ispirato al lavoro di Roberto Assagioli. 🙂