Sul significato dell’essere normali e della “normalità”
Accendo la TV e ascolto i titoli del telegiornale. Mi chiedo: Chissà che cosa sarà successo di bello oggi?
Nell’ordine: ennesima baruffa tra politici, qualche disastro naturale, qualche altra calamità umana, l’omicidio-notizia della giornata… Fermiamoci qui. Intervista ai vicini/conoscenti/passanti-per-caso dell’odierno omicida che chiameremo Y.
Giornalista: “Com’era Y?”
Vicino/conoscente/passante-per-caso: “Mah, una persona normale.”
Giornalista: “Non ha mai dato segni di squilibrio?”
Risposta con tanto di scuotimento di testa: “No, sembrava una persona assolutamente normale.”
Eccoci. Schiacciamo il tasto pausa per un attimo e rimaniamo sulla bocca semi aperta del nostro vicino/conoscente/passante-per-caso. Abbiamo sentito bene? Lo abbiamo sentito tutti dire “Sembrava una persona assolutamente normale”?
Ora chiediamoci: che cosa significa essere normali?
O meglio, essere normali per gli altri?
Quanti di noi si sono sentiti dire “Ma tu non sei normale!” almeno una volta nella vita oppure lo hanno pensato di qualcun altro?
Jung diceva: “Essere normali è il miglior modo per fallire”.
Quando ho sentito questa frase per la prima volta mi sarei voluta alzare dalla sedia (mi trovavo a una conferenza) e avrei voluto ballare davanti a tutti dalla felicità.
Ho sempre ammirato Jung per tanti motivi, ma per questo in particolare lo avrei volentieri abbracciato. Finalmente sentivo qualcuno dire quello che dentro di me era diventata un’evidenza: la normalità è una maschera che ti vogliono far indossare per renderti innocuo.
Se fai quello che fanno tutti, se provi le stesse emozioni, reagisci allo stesso modo sei controllabile perché prevedibile. Appena ti allontani un po’ dalla via “maestra” ecco che iniziano le alzate di sopracciglio, che poi diventano occhiatacce e in seguito veri e propri ammonimenti: “Guarda che le persone normali non reagiscono così”, “Tu sei proprio strano…” e bla, bla, bla.
Per non dire quando siamo noi stessi a etichettarci “anormali” perché non ci riconosciamo nelle abitudini e modi di vivere degli altri.
C’è da dire, però, che non a tutti è richiesto di essere normali. Alcune persone sono per loro natura considerate “speciali”.
Speciale io? No, grazie
Laura è una diciassettenne entusiasta ed energica. Laura è una ragazza down. Fino a qualche mese fa frequentava un’associazione per persone diversamente abili. Usa il passato quando me lo racconta perché dice: “Là non ci sono più voluta andare perché quell’istruttore era un ignorante. Continuava a ripeterci che siamo persone speciali e per questo facciamo cose speciali. Io non sono speciale, sono come tutti gli altri, sono normale!”
Laura non la conosco bene, ma quando ti parla non puoi fare a meno di pensare: “Vorrei essere come lei”. Perché Laura non assapora la vita, la morde avida e non se ne lascia scappare un pezzo. È un vulcano di energia e, soprattutto, è riuscita a ribellarsi all’etichetta che gli altri le volevano imporre. A lei quella di speciale, a noi quella di normali.
Così, in un modo o nell’altro, il concetto di “normalità”, o quello di “specialità”, ci ingabbiano e ci fanno sentire inadeguati rispetto ad uno standard di cui nessuno conosce significato e origine.
Normale io? No, grazie
Forse avrei dovuto dirlo sin dall’inizio, ma non ho pensato fosse importante: io sono a-normale, strana, eccentrica… e tutti i sinonimi che possono venirvi in mente.
Come molti di voi ho iniziato a colpevolizzarmi per tutto quello che mi si diceva, o mi si lasciava supporre, “fosse sbagliato in me”. E più ci credevo e mi dicevo che dovevo cambiare, più stavo male e per reazione mi chiudevo in me stessa.
E poi la svolta. Un giorno conosco una persona che mi dice: “Se ti senti così, lascia che sia”. Quel lascia che sia è stato provvidenziale. E più lasciavo che fosse, più mi scoprivo a osservare intorno a me persone che si impedivano di essere e ne soffrivano.
Ho scoperto che non ero sola in questo e soprattutto che ci sono persone che per loro stesse rivendicano una libertà di sentimento e azione che non rispettano assolutamente negli altri. Queste persone sono ingabbiate dentro i loro stessi pregiudizi.
Che fare se ne incontriamo una o, peggio, dobbiamo viverle accanto? Prima di ogni altra cosa dobbiamo ritrovare il rispetto per noi stessi, gli altri non ne sanno di più di noi sulla vita solo perché sono persone di successo o in un certo qual modo autorevoli. Non ne sanno di più solo perché sono i nostri genitori o nonni o insegnanti.
Non ci sono un modo giusto e uno sbagliato per vivere le proprie emozioni e se vi sentite circondati da persone che vi giudicano a-normali… quasi quasi potrei suggerirvi di ringraziarle la prossima volta che le incontrate perché sono proprio loro che sfidandovi vi danno l’occasione di scoprire voi stessi e il vostro percorso.
Non è semplice, io stessa all’inizio, dopo essermi sentita accusare per l’ennesima volta che le persone normali non si comportano come me, ero furibonda. Avrei preso a calci qualunque cosa mi capitasse a tiro e dentro urlavo che non mi interessava.
Ma non era vero. Mi interessava eccome, altrimenti non sarei stata così male. Mi interessava perché, nonostante tutto, mi è sempre stato insegnato che per quanto sentissi che gli altri non avevano ragione, io avevo comunque torto. Quello che sentivo io non poteva essere giusto se andava così tanto controcorrente. Io non potevo essere “giusta”.
Un aiuto concreto
Vi ho già parlato della psicoterapeuta Carla Sale Musio e del suo blog “Io non sono normale: io amo”, in occasione di un altro post. Bene, se già non lo fate vi consiglio di seguirla perché sul concetto di normalità vs a-normalità la dottoressa ne sa parecchio e ci offre il suo sguardo lucido e originale.
Credo che un cuoco sia grande quando le sue ricette diventano uniche, perché unico è il modo in cui ciascuno gusta la vita.
Carla Sale Musio
Così ritengo che la normalità sia la patologia del secolo, quella malattia che, incatenando la creatività, ci rende schiavi dentro una vita al servizio del conformismo.
Si può essere diversi e “a-normali”.
Ci si può permettere di avere un cuore. Con cui ognuno assapora la vita a modo suo.
Si può essere “a-normali” ed essere liberi, creativi, originali, appassionati, sinceri.
Nella ricetta della felicità questi ingredienti sono fondamentali.
L’amore è diverso per tutti.
Per questo ci rende unici e speciali.
Per questo rende speciale ogni essere che amiamo.
Nessuno è normale.
Quando ama.
Il cosiddetto bisogno di “normalità” è un carceriere che controlla molte persone.
Per favore, non facciamoci controllare. Lasciamo che sia. Lasciamoci essere.
Morale della favola secondo me
Non esiste una strada che porta alla normalità e una all’a-normalità. Siamo tutti a-normali per attitudine, scelta e talento. Abbiamo il privilegio di essere semplicemente noi stessi e di sviluppare le nostre peculiari qualità. Chi ci accusa di non essere normali ci fa un complimento perché significa che stiamo valorizzando il nostro modo d’essere e il nostro personalissimo cammino. Non abbiate paura di essere ostracizzati se non vi conformate perché più sarete fedeli a voi stessi e più le occasioni di incontrare persone che vi apprezzeranno e ameranno si moltiplicheranno. Ve lo posso confermare personalmente. Provate per credere!
E secondo voi? Cosa pensate dell’essere normali? Cosa significa per voi?
Per approfondire
Interviste della dott.ssa Sale Musio sul tema” Dottore… cos’è la normalità?”, rispondono:
- Dott.ssa Caterina Steri, psicologa e psicoterapeuta
- Dottor Fabrizio Bonu, psicologo e psicoterapeuta
- Dottor Enrico Maria Secci, psicologo, psicoterapeuta e scrittore [sito personale]
- Dott.ssa Maria Grazia Rubanu, psicologa e psicoterapeuta