Quando qualcuno ti ascolta davvero senza giudicarti, senza cercare di prendersi la responsabilità per te, senza cercare di plasmarti, ti senti tremendamente bene.
Carl Rogers
Carl Rogers faceva il buon “ascoltatore” di professione e una delle prime lezioni che impari quando studi Counseling è proprio il valore di un ascolto attivo ed empatico nei confronti dell’altro.
Può essere difficile esprimere i propri sentimenti, quelli che portiamo nascosti dentro di noi, ma lo diventa ancora di più se non incontriamo qualcuno che davvero ci ascolta, qualcuno a cui sembra importare del nostro discorso.
Se sapete cosa si prova a sentirsi ascoltati con attenzione, allora saprete anche quanto sia liberatorio e appagante. Le parole non dette sono macigni che alimentano la confusione. Viviamo immersi nel rumore sia dentro che fuori. Mille e più voci si sovrappongono e danno origine a incomprensioni e risentimenti.
Ho sentito spesso recriminare su quanto poco si venga ascoltati: “Tu non mi ascolti! Sei un egoista perché pensi solo a te stesso, non hai mai tempo per me!”
Tanti sono i motivi per cui possiamo non voler ascoltare una persona, ma è fondamentale riconoscerli dentro di noi. Spesso quando non ci sentiamo ascoltati, osservando la nostra qualità di ascolto scopriamo che siamo i primi a non ascoltarci. E spesso l’incapacità di ascoltare noi stessi deriva dalla resistenza ad accettarci per quello che siamo (o piuttosto per quel poco di noi che conosciamo e non rispetta certi canoni che ci sono stati tramandati e abbiamo accettato senza troppe discussioni).
Così, il segreto per ricevere ciò di cui si ha bisogno è imparare a donarlo per primi. Sviluppare una buona capacità di ascolto è una qualità che arricchisce la propria vita e le relazioni interpersonali.
Come spiega Francesco Torralba nel suo libro L’arte di ascoltare: “Ascoltare significa accogliere l’altro nella propria dimensione”. Perché “tutti vogliamo essere ascoltati” e “tutti vogliamo avere una nostra dimensione”.
Possiamo (e dobbiamo!) decidere quando e chi ascoltare: non fa bene a nessuno dire sempre di sì ignorando i propri tempi, spazi e desideri. L’ascolto è selettivo e a maggior ragione un buon ascolto che richiede energia, disponibilità e attenzione non può essere elargito a nostro discapito.
Ascoltare (auscultare) significa sentire con delicatezza e cura.
In fondo, significa aver cura dell’altro. È un modo per manifestargli il nostro rispetto.
Quando si ascolta un’altra persona le si concede uno spazio dentro di noi dove accogliamo le sue parole senza giudizi e manipolazioni, nell’intento di comprendere le sue ragioni, di guardare le cose attraverso i suoi occhi pur preservando una sana distanza.
Saper ascoltare significa anche concedere all’altro il tempo necessario affinché riesca ad esprimere i suoi pensieri e sentimenti, soprattutto quando trovare le parole “giuste” sembra un’impresa titanica.
Così, ascoltare diventa un “atto di ospitalità”.
L’ascolto consiste nel fare posto all’altro, nel cedergli uno spazio e un tempo nella mente e nel cuore. È un po’ come accogliere un ospite invisibile e fargli spazio nella propria casa. Ma se siamo “al completo” è impossibile che l’altro riesca ad entrare. Se siamo troppo assorbiti da noi stessi, l’altro non può avere accesso al nostro universo personale.
Ascoltare equivale ad accogliere, a concedere tempo e spazio all’altro, a fare il vuoto dentro di sé per consentirgli di entrare.[cit]
Imparare ad ascoltare
Imparare ad ascoltare l’altro è un dono che facciamo anche a noi stessi perché ci insegna a stare con l’ignoto che accompagna ogni incontro, ci mostra che ci sarà sempre una parte da scoprire sia in noi che negli altri.
Mi viene in mente questo mio amico che ama tenersi impegnato, ripete sempre che solo i pigri non hanno sempre qualcosa da fare. Critica chiunque non si faccia vedere impegnato in una qualche attività produttiva e non sono in molti a trovare questo suo lato amabile.
Un giorno, mentre era al lavoro, cadde e si fratturò il polso, il che lo costrinse a mesi di inattività. Andai a trovarlo e lo vidi che si aggirava per casa brontolando inquieto, incapace di starsene seduto tranquillo. Gli domandai perché non riuscisse ad accettare quel periodo di riposo che gli avrebbe permesso di riacquistare le energie. Credevo mi avrebbe investita con una filippica sull’importanza del lavoro e del tenersi impegnati, invece mi guardò triste e disse: “Non ci riesco, non riesco a star fermo, nella mia testa passano un sacco di pensieri. Ho bisogno di fare qualcosa, di tenermi impegnato.”
Io credevo di conoscere questo amico, avevo giudicato il suo atteggiamento e invece ora lui mi mostrava che non lo conoscevo affatto! Qualcosa gli “imponeva” di lavorare in continuazione e lui scaricava la sua tensione all’esterno criticando chiunque non si comportasse come lui, chiunque non fosse mosso dalla stessa forza oscura.
Forse anche voi avete un amico così, un familiare o un conoscente che attua un comportamento per voi incomprensibile, forse conoscete la spiegazione razionale del perché si comporta così, ma è probabile che la motivazione profonda non la conoscerete mai. Del resto è possibile che neppure lui la conosca.
Il mio amico, ad esempio, non si è reso conto delle implicazioni delle sue parole e oggi continua a ripetere la stessa frase, come un disco rotto. Lui non se n’è accorto, ma io sì e per quanto continui a non condividere il suo atteggiamento, lascio che la frustrazione scivoli via e il giudizio non incrosti più la nostra amicizia.
Saper ascoltare, poter ascoltare
Saper ascoltare l’altro ci permette di riconoscere i mille volti della realtà, di accettare che ognuno vive secondo proprie regole interne introiettate chissà quando e da chi e di trasformare il nostro atteggiamento per vivere più serenamente. Non solo, impariamo anche che nessuno è perfetto, che tutti siamo i protagonisti di una storia unica e incredibile e acquisiamo il coraggio di raccontare la nostra senza provare il disperato bisogno che piaccia a tutti.
L’ascolto richiede umiltà e rispetto. E il rispetto implica il sapersi avvicinare quel tanto che ci viene concesso, senza invadere il territorio altrui. Torralba descrive il rispetto come “una vicinanza che non ferisce”.
Alle volte, però, capita che ascoltare l’altro sia un supplizio perché ci porta in territori che non vogliamo esplorare, vicino a una ferita che è ancora aperta e fa male. Ascoltare in quei casi fa paura. Ci fa paura perché significa confrontarci con i nostri errori, i difetti, i blocchi emotivi e i fallimenti. Ci fa paura perché una parte di noi si è convinta di dover essere perfetta e non riesce ad accettare le macchie. Eppure l’ascolto ci aiuta a guarire anche questa parte perché ci mostra che nessuna storia è perfetta, che errori e fallimenti hanno aiutato a scriverla, a modellarla. Nessuna storia degna di essere ascoltata è piatta come una pianura. Ci sono montagne e burroni, ci sono fiumi, laghi e vallate. C’è un paesaggio asimmetrico, imperfetto e misterioso, tutto da scoprire.
Non è facile liberarsi dalla paura del giudizio degli altri, ma se capiamo che quella paura deriva in realtà dalla severità del giudizio verso noi stessi, allora forse ascoltare ci farà meno paura e si trasformerà in un’opportunità.
Abbiamo bisogno di riappropriarci del piacere di ascoltare.
L’ascolto è anche una forma di amore. È un modo per esprimere all’altro che quello che dice ha un valore, che quello che ci comunica non svanisce nel nulla, che è interessante. Nel scorgerlo, l’altro si sente riconosciuto e apprezzato come persona.
Quando non ci sentiamo ascoltati viviamo intrappolati in una ragnatela di emozioni inespresse, la solitudine si trasforma in quel mostro dagli occhi neri di cui tutti abbiamo terrore e niente sembra avere un senso. Ecco perché saper ascoltare è benefico e liberatorio: non ci sono più pensieri assillanti a tenerci in ostaggio, ma una concreta possibilità di conoscere e conoscersi.
Chi sa ascoltare riscopre una dimensione della vita che sembra essere andata perduta. E lo fa non solo per gli altri, ma anche e soprattutto per se stesso.
Non siamo ciò che abbiamo ascoltato, ma ciò che abbiamo ascoltato plasma quello che siamo. Saremmo molto diversi da quello che siamo, se avessimo ascoltato altri discorsi, altre storie.[cit]
Sull’ascolto attivo, una storia
Gentili ascoltatori
Un tizio di Boston ha reagito al licenziamento mettendo a disposizione degli altri la risorsa che aveva appena riguadagnato, il tempo. Sul sito You Tube si è dichiarato pronto ad ascoltare chiunque avesse voglia di parlargli, allegando il suo numero di telefono. In una settimana lo hanno cercato in cinquemila. I sociologi americani si sono subito dedicati a spolpare il fenomeno: la solitudine allaga le case, nell’era della comunicazione le persone non comunicano più neanche in famiglia, inevitabile che la salvezza arrivi da perfetti sconosciuti come gli autori delle poste del cuore sui giornali.Si continua a sottovalutare un aspetto. Chi telefona al disoccupato di Boston non cerca qualcuno con cui parlare, ma qualcuno che lo ascolti. Non è proprio la stessa cosa. La civiltà dell’immagine e dell’ego spinto ha prodotto milioni di sordi metaforici. Ottenere l’attenzione del prossimo è diventato così difficile che persino i comunicatori professionali della pubblicità non sanno più a quale nudo di donna o scoreggia di scoiattolo appendere i loro messaggi per riuscire a bucare la crosta della distrazione generale. L’arte dell’ascolto è il segreto dei grandi seduttori. Una forma sublime di accoglienza che richiede capacità e voglia di svuotare la mente dai nostri pensieri per lasciarsi invadere da quelli degli altri. Sono passati ventiquattro secoli da quando un filosofo stoico disse che gli dei ci avevano dato due orecchie e una sola bocca per ascoltare di più e parlare di meno. Se siamo arrivati a questo punto è proprio perché nessuno lo è stato a sentire.
Massimo Gramellini, Il buongiorno – La Stampa