Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada.
Alcuni la definiscono vocazione, chiamata, altri destino, James Hillman nel suo libro Il codice dell’anima si lascia ispirare dal mito platonico di Er e la chiama daimon.
Lo stesso daimon di cui parla Aldo Carotenuto nel suo saggio La chiamata del Daimon di cui ho scritto tempo fa. Il daimon a cui Philip Pullman dà forma concreta nella sua famosa trilogia Queste oscure materie.
Nello specifico, però, di che cosa si tratta? Ce lo spiega il mito:
Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, ci dimentichiamo tutto questo e crediamo di esserci venuti vuoti. È il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino.
Il codice dell’anima è il celebre saggio in cui Hillman espone la teoria della ghianda spiegando come essa influisca sulla nostra vita. Dentro ognuno di noi, già alla nascita, vi è un seme unico e distinto che ci chiama a realizzare qualcosa di altrettanto unico e distinto: è la ghianda che racchiude in sé il potenziale destino di quercia.
In alcuni la chiamata sembra più forte che in altri, ma anche se non la ricordiamo, anche se la sua voce si è persa nelle maglie della vita adulta, in realtà non ci abbandona mai. È sempre dentro di noi e quando alla domanda “Cosa vorresti fare nella vita?”, rispondiamo “Non lo so”, inconsapevolmente stiamo mentendo.
Per ritrovarla dobbiamo ripercorrere la nostra biografia, la storia vissuta fino a oggi e focalizzarci sull’infanzia perché è lì che per primo il daimon si è manifestato: in ciò che ci piaceva fare, nel tipo di carattere con cui siamo venuti al mondo.
Torniamo per un po’ il bambino/a che siamo stati e permettiamoci di esserlo, di ricordare cosa catturava la nostra attenzione, con quale sfumatura facevamo esperienza della vita, quali giochi amavamo e quali evitavamo.
Si parte da qui per riaprire il canale di comunicazione col nostro daimon, ma perchè farlo? Perché riconoscere che la vocazione è un dato fondamentale dell’esistenza umana trasforma il panorama a cui i nostri occhi si sono stancamente abituati vivacizzandone i colori ed esaltandone le forme. I problemi, gli ostacoli incontrati lungo il cammino acquistano un senso, “fanno parte del disegno dell’immagine, sono necessari a esso e contribuiscono a realizzarlo”.
Una vocazione può essere rimandata, elusa, a tratti perduta di vista. Oppure può possederci totalmente. Non importa: alla fine verrà fuori. Il daimon non ci abbandona.
E se il daimon si manifesta per la prima volta nell’infanzia, capiamo bene quanto importante sia il ruolo dell’adulto in questa fase: il bambino è dipendente da lui sia fisicamente sia emotivamente. L’adulto è la sua guida, il suo maestro e dovrebbe avere un unico obiettivo: assecondare coscientemente la sua crescita naturale. Per questo motivo, Hillman scrive che “questo libro sta dalla parte dei bambini”, soprattutto di quei bambini definiti “problematici” perché seguono il ritmo di una musica diversa da quella a cui le nostre orecchie adulte si sono ormai abituate.
Voglio che riusciamo a vedere come ciò che fanno e che patiscono i bambini abbia a che fare con la necessità di trovare un posto alla propria specifica vocazione in questo mondo. I bambini cercano di vivere due vite contemporaneamente, la vita con la quale sono nati e quella del luogo e delle persone in mezzo a cui sono nati. L’immagine di un intero destino sta tutta stipata in una minuscola ghianda, seme di una quercia enorme su esili spalle. E la sua voce che chiama è forte e insistente e altrettanto imperiosa delle voci repressive dell’ambiente. La vocazione si esprime nei capricci e nelle ostinazioni, nelle timidezze e nelle ritrosie che sembrano volgere il bambino contro il nostro mondo, mentre servono forse a proteggere il mondo che egli porta con sé e dal quale proviene.
Hillman mostra esempi concreti della teoria della ghianda analizzando l’infanzia di alcuni personaggi diventati celebri come il filosofo inglese R. G. Collingwood, il torero spagnolo Manolete o l’attrice Judy Garland.
Partendo da questi esempi mette in evidenza come non si tratti solo di seguire il daimon, ma anche di crescere, ovvero discendere pienamente in questa vita e aumentare la propria consapevolezza.
Sempre tramite il mito platonico Hillman spiega chiaramente cosa si intende per “discendere nella vita”:
L’anima discende in quattro modi: attraverso il corpo, i genitori, il luogo, le condizioni esterne.
Per prima cosa, il corpo: discendere, cioè crescere, significa ubbidire alla legge di gravità, assecondare la curva discendente che accompagna l’invecchiamento.
Secondo, accettare di essere un membro della tua famiglia, di fare parte del tuo albero genealogico, così com’è, con i suoi rami contorti e i suoi rami marci.
Terzo, abitare in un luogo che sia adatto alla tua anima e che ti leghi a sé con doveri e usanze.
Infine, restituire, con gesti che dichiarano il tuo pieno attaccamento a questo mondo, le cose che l’ambiente ti ha dato.
Hillman ci invita, quindi, a guardare la nostra vita con occhi diversi e ad applicare questo nuovo sguardo anche all’esistenza dei nostri genitori e a quella dei nostri figli.
Perché se interiormente siamo portatori di un’immagine, una chiamata che è solo nostra e che ci promette la felicità se ben vissuta, diventa chiaro quanto sia illusoria l’idea di una felicità uguale per tutti, di un percorso di vita “corretto” e uguale per tutti. Quel percorso che tacitamente ci viene proposto come fautore della felicità e indicatore di successo: sii un bravo studente, socievole e adattabile, sposati e riproduciti, sii un lavoratore instancabile e devoto, sii un cittadino ligio alle regole e divertiti nei momenti appropriati. Insomma, sii normale nel senso in cui io, società, concepisco la normalità.
Così, quando un bambino non va bene a scuola, non si adatta allo schema, per la società diventa un “problema”, uno da “correggere”, ma se al contrario avesse ragione lui? Se ci fosse semplicemente qualcosa che lo chiama altrove? Non è necessario conoscere la risposta, ma è fondamentale iniziare a porsi la domanda.
Ciò che serve, l’anima lo usa. Sono strabilianti, anzi, la saggezza e il senso pratico che essa dimostra nell’utilizzare accidenti e disgrazie.
E il seme cattivo? Esiste? O sono tutti intrinsecamente buoni? Hillman cita l’esempio di Hitler e di altri inenarrabili assassini che hanno insanguinato la storia, e mostra come esista anche una spinta distruttiva, un’indole che può indirizzare verso l’abominio.
Ciò non significa che non ci sia speranza, ovvero che certe anime nascano per fare del male e del male faranno. Anche quando di per sé la vocazione viene considerata benevola, infatti, rappresenta in ogni caso una forza che può essere devastante se l’individuo non sviluppa una personalità e una psiche forte ed equilibrata. Judy Garland ne è stata un tragico esempio.
Solo imparando a gestire il proprio daimon senza lasciarsi agire come burattini, si offrirà al daimon stesso la possibilità di esprimersi in tutta la sua potenzialità.
Non è infatti possibile metterlo a tacere e negarlo può essere pericoloso, come accade spesso nel caso di un seme cattivo.
Il daimon ci accompagna fedele e ci stimola alla grandezza, alla potenza. Vuole essere celebre e celebrato e non desidera altro che esprimersi.
Per aiutarlo diventa indispensabile iniziare a promuovere un nuovo tipo di educazione, che torni all’origine del termine, ovvero che si dedichi a “portar fuori” ciò che ciascuno custodisce già dentro di sè al momento della nascita, piuttosto che tentare di riempirlo con concetti, date, eventi come fosse un contenitore vuoto.
Il daimon chiama tutti, non solo chi la storia ricorderà, nel bene come nel male. Non esiste una chiamata mediocre, come sottolinea Hillman, ma solo vite in cui la chiamata viene rifiutata.
Informazioni sul libro:
Titolo: Il codice dell’anima
Autore: James Hillman
Editore: Adelphi
Traduzione: Adriana Bottini
Pagine: 410
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Foto in apertura di Jessie Pearl
Un grandissimo Maestro, di vita e di grande rispetto per le qualita’ umane James Hillman,
anche se purtroppo la realta’ di un mondo malato fa molta paura. Non adeguarsi alle regole sociali se non si fa del male a nessuno e sopratutto a se stessi e difficile comunque non fare del male agli altri quando la forza del carattere e’ autoritaria. In genere cio’ che e’ diverso da noi e dal mondo sociale e’ visto come un pericolo…….si rischia quindi di incorrere in pericoli
e sorprese pericolose se a volte non si nasconde la propria intelligenza. Grazie James.
Grazie per il commento, Cristiana: un interessante spunto di riflessione.
Hillman è di certo una figura di riferimento per chi non si adegua allo status quo delle regole già dettate, ma traccia il proprio cammino e guarda il mondo con occhi nuovi, per non subirlo ma viverlo in prima persona.
Salve!
Mi chiamo Flavio ed ho 26 anni.
Ho letto il codice dell’anima e cercavo delle spiegazioni su internet riguardo a questo libro quando mi sono imbattuto nel vostro blog. cercavo delle spiegazioni perché sono rimasto un po’ perplesso per non dire ansioso sul capitolo del Cattivo seme.
Leggendo il libro il tutto sembra molto positivo: ci esorta a scoprire noi stessi, quello che ci riesce meglio, ad esprimere tutto il nostro potenziale ma il capitolo sulla cattiveria dei personaggi della storia mi ha un pò turbato perchè facilmente può sorgere la domanda “oddio, ed ora? e se fossi anche io cattivo? se fossi anche io chiamato ad uccidere qualcuno?”
Potete spiegarmi meglio voi cosa intendeva dire hillman ? magari che il daimon ha solo finalità positive ma che le esperienze di vita influiscono per corrompere anche un animo potenzialmente buono?
Grazie mille ed aspetto risposta!
Flavio
Ciao Flavio,
premetto di non essere un’esperta in materia per cui proverò ad esporti quella che è la mia personalissima interpretazione della teoria della ghianda esposta nel libro di Hillman e, più in generale, del concetto di daimon. Non credo di poter fugare i tuoi dubbi, ma spero di offrirti quanto meno qualche spunto di riflessione.
Basandomi su quanto ho letto, credo che il concetto di daimon vada oltre la nozione di positivo o negativo, il daimon è una sorta di impronta impressa alla nostra anima prima della nostra nascita, un’energia che colora le nostre inclinazioni e predisposizioni. Questa impronta, che di per sé non è né buona né cattiva, ma portatrice di determinate caratteristiche interiori, in noi entra in contatto con la nostra personalità che, a sua volta, è condizionata da diversi fattori tra cui la storia familiare, la genetica, il contesto sociale, politico, economico… Una stessa impronta, quindi, può essere accolta ed espressa in modi diversi da personalità diverse. Il daimon parla un certo linguaggio che può essere, ad esempio, quello del potere, del sentirsi potenti e dell’esercitare potere all’esterno, ma a seconda della personalità che utilizzerà per esprimere questa energia, avremo molteplici possibilità di espressione. L’idea del potere in quanti modi potremmo manifestarla nella nostra vita? Innumerevoli.
Nel caso di quello che Hillman definisce “seme cattivo” c’è una frase che ritengo cruciale nel suo ragionamento: “La chiamata, per lo psicopatico, è quella a esercitare un potere con gli occhi, la voce, il fascino, le bugie, e uno scaltro tempismo, con il corpo, con tutto ciò che serve a camuffare la fondamentale debolezza della persona.”
Se guardiamo a queste stesse caratteristiche utilizzate dallo psicopatico per camuffare, possiamo vedere invece come, quando espresse da una personalità integrata, acquisiscano tutt’altra luce: si tratta delle stesse qualità possedute da una persona carismatica, un potenziale leader. Qualcuno capace di affascinare, ispirare, guidare.
Il nodo nevralgico, quindi, nell’espressione del daimon, anche del più apparentemente incomprensibile, è il tipo di personalità al suo servizio. E infatti Hillman scrive: “La sproporzione tra personalità umana e seme daimonico è talmente grande che è come se il mondo umano fosse prosciugato per nutrire il seme. L’essere umano, sempre più “striminzito” e inumano, ha bisogno allora di altro sangue.”
In ciascuna personalità il daimon viene vissuto in modo peculiare e probabilmente un daimon diventa un cattivo seme nel momento in cui la sua potenza viene incanalata malamente da una personalità non integrata. Credo che Hillman volesse farci riflettere sul fatto che le teorie sull’influenza genetica, familiare e sociale non siano di per loro sbagliate, ma non possano essere esaustive perché esiste un altro aspetto che ci condiziona, un’energia potente, il daimon appunto, che non possiamo ignorare perché più lo ignoriamo, più lui si ribella.
E infatti su questo scrive: “La prevenzione dovrebbe essere imperniata sul tentativo di ripristinare un equilibro tra la debolezza della psiche e la potenza del daimon, tra la chiamata trascendente e la personalità alla quale essa si rivolge. La costruzione della personalità è un compito psicologico che va oltre il “rafforzamento dell’Io” e anche oltre la Bildung, l’idea tedesca di formazione culturale e morale.”
Il suo obiettivo era quindi far sì che vi fosse un riconoscimento attivo del daimon che alberga in ciascuno di noi, un daimon che di per sé è energia pura, non ha morale, ha solo una direzione che una personalità debole può trasformare in distruttiva. Del resto persino un daimon che si traduce in grande talento artistico può portare alla distruzione di una persona, vedi l’esempio di Judy Garland e di tanti altri artisti.
Il daimon ci offre un grande potere e per questo ci richiede una grande responsabilità (ovvero abilità nella risposta). Riconoscere il suo ruolo nella nostra vita è fondamentale perché possiamo agire attivamente per lavorare su noi stessi, guarire le nostre ferite, riconoscere quali sono i nostri limiti e quali le virtù. Lui ci spingerà sempre verso la sua direzione, ma tanti sono i modi in cui potremo arrivarci.
Spero di esserti stata d’aiuto, nel mio piccolo.
Chissà che il mio daimon non mi abbia accompagnata in questa risposta… 😉
Grazie della risposta!
Devo dire che la tua spiegazione mi ha dato come una scossa perchè avevo il bisogno di mettere insieme i vari pezzi del puzzle! Mi domandavo “ok, fantastico Hillman…ma buttiamo nel cesso il pensiero di Winnicott, Bolwby e Jung?”
Sentivo proprio che mancava un collegamento, che non stavo capendo a fondo ma grazie alla tua spiegazione ora è tutto piu ordinato ed ogni cosa è connessa all’altra!
Grazie mille!
Felice di esserti stata d’aiuto! 🙂