Lo ammetto: non riesco ad essere costante nella scrittura. Spesso mi ritrovo davanti al computer e la pagina bianca mi scoraggia.
Oggi ci sono tante cose che mi scoraggiano e i miei tentativi di dare un aiuto, di offrire qualche piccolo seme che qualcuno potrebbe decidere di piantare nel proprio giardino, mi sembrano del tutto inadeguati.
In tanti passate di qui e per quanto mi dispiaccia prolungare il silenzio, non posso che accettarlo e attendere che le parole tornino, che la voce riprenda volume e colore. Non so se questo sarà il giorno giusto, ma ci provo.
Forse parlare di felicità in mezzo agli ultimi accadimenti del mondo potrebbe non risultare appropriato, eppure non pare anche a voi una necessità assoluta? Perché dove sembra regnare la desolazione, solo una stilla di gioia può impedirci di voltare lo sguardo dall’altra parte per non vedere, per non soffrire, per non sentirci impotenti.
Fiore di strada
A me non interessano le etichette, a me interessa quel fiore che spacca il cemento in una strada isolata, di periferia, riarsa dal sole, dove tutto sembra essere stato abbandonato, soprattutto la speranza, eppure a quel fiore non importa. Non gli importa dell’asfalto, non gli importa del paesaggio imbruttito, a lui importa solo di crescere e lo fa a modo suo.
Rotaia di treno,
sassi e cemento.
Cresco lo stesso.
Scrissi questo tentativo di haiku tanti anni fa, quando una mattina lo vidi. Sostavo su quella banchina in attesa del treno tutte le mattine, eppure non mi ero mai accorta di lui. Era giallo, era esile, era orgoglioso.
Quella mattina lo guardai per la prima volta e mi resi conto che io, grigia e ingobbita dalla routine, stavo appassendo ad appena vent’anni mentre lui mi sfidava, con i suoi petali imperfetti, le foglie scomposte, a rialzarmi, a riprovarci.
Lui aveva fatto quello che andava fatto, quello che la sua natura gli chiedeva. Non era rimasto seme, non si era arreso perché sopra di lui non si stendeva un bel campo, ma acciaio, sassi e cemento.
A molti sembra cosa da poco sfidare la forza di gravità e crescere. Sembra poco bucare un terreno duro e sassoso con un piccolo stelo e uscire all’aria aperta. Bè, a me quella mattina parve tutto, tutto quello che di importante ci fosse in questo mondo così tremendamente meraviglioso. Quella mattina e ancora oggi è così.
Nella sofferenza, una stilla di gioia
La bellezza, la forza, la passione, il coraggio, la gioia… sono essenziali, vitali per non arrendersi, per accettare le sconfitte e le difficoltà senza rimanerne avvinti. Ecco perché cerco la bellezza ovunque: perché è il nostro sguardo che fa la differenza.
Non è quello che vediamo (o non solo), ma come lo vediamo. È l’angolatura da cui guardiamo la vita che ci regalerà gioia o sofferenza. O meglio, ci regalerà gioia pur nella sofferenza. Ci mostrerà che la sofferenza e il dolore non sono disastri, ma opportunità, ferite da cui può far breccia qualcosa di nuovo, qualcosa di bello.
Sembra assurdo, eppure non ne parlerei se non ne fossi una testimone oculare. Non ne parlerei se troppe volte non mi sentissi così piccola e inutile.
Buone intenzioni vs buone azioni
Sono cresciuta nel culto del “fare” per cui, ancora oggi, se non “faccio” qualcosa mi sento in difetto. Fai la tua parte. Non rimanere con le mani in mano. Dai il tuo contributo. Ok, tutto giusto sotto un certo punto di vista, ma fare non basta. Cosa fare? E, soprattutto, come fare? Il cosa e il come si scelgono e si scelgono in base all’essere.
Possiamo “fare” senza una particolare consapevolezza e… distruggere ogni cosa lungo il cammino. Del resto i proverbi non li han inventati perché si annoiavano e, più o meno tutti, comprendiamo il senso profondo della frase “La via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”.
Per cui non si tratta solo di fare, ma di stare con noi stessi per essere. Scoprire chi ci abita, le luci e le ombre, dare spazio a ciò che è permettendo al nostro seme di esprimere la propria natura. E allora non avremo solo “buone intenzioni”, ma azioni consapevoli, belle, forti, coraggiose e gioiose. Azioni di cui oggi il mondo ha davvero bisogno. Azioni che non c’entrano nulla con il “così fan tutti”, ma descrivono noi stessi, il nostro contributo.
Essere diversi per essere sé
Credo che, in un modo o in un altro, l’idea di “adeguarmi”, invece, sia da sempre stato il messaggio che mi son sentita ripetere: sii come gli altri, sii normale, sii così come noi ci aspettiamo che tu sia. E fai quello che noi ci aspettiamo che tu faccia.
Un messaggio che si scontrava con il mio essere più profondo perché non potevo assomigliare a nessuno, e così del resto è per tutti.
Come ci ricorda il buon vecchio Jung (frase che ho preso a motto di questo progetto):
La scarpa che sta bene a una persona sta stretta a un’altra: non c’è una ricetta di vita che vada bene per tutti.
Ognuno di noi ha il suo progetto di vita, che non può essere sostituito da nessun altro.
Se guardiamo alla nostra vita partendo da questo presupposto quanto cambia il nostro sguardo? E il nostro atteggiamento? Pur nelle difficoltà più grandi, non sembra che possa quasi esserci spazio per… lo vedete anche voi? Un minuscolo, timido, impavido granello di felicità?
Perché se qualcosa viene distrutto, posso ricostruire.
Perché se perdo qualcosa, c’è spazio per il nuovo.
Perché se oggi riesco a piangere, domani sarò ancora capace di ridere.
È un modo di guardare questo, non è l’unico, è solo un modo. Ma è il modo che ho scelto io, o forse è il modo che ha scelto me perché solo da questa prospettiva mi sento bene, mi sento “a casa”.
Un altro sguardo, uno sguardo mio
Forse ci sono nata con questo sguardo, ma l’ho perso per molto tempo e lo sto riscoprendo pian piano, un giorno alla volta, un pensiero alla volta. Mi sto impegnando, non senza fatica, perché è un modo di pensare che mi fa sentire diversa, estranea alla maggior parte di chi mi circonda. Perché mentre tutti maledicono la sfortuna, il caso, la sorte, Dio e i Re Magi (!), io sto zitta e non sto male insieme a loro.
Sto male comunque, certo, perché di fronte a un dolore si soffre, ma sto male diversamente e per meno tempo. Penso che ci sia dell’altro, che ci siano anche la bellezza e la gioia, da qualche parte lì intorno. Che forse c’è un disegno o forse è un dipinto o un mosaico o chissà che altro. Nel dolore vedo altro, ma è difficile parlarne perché non è un pensare comune e forse spaventa, forse infastidisce.
Però oggi ho deciso di scriverne qui perché credo importi, perché forse a qualcuno servirà leggerlo, magari tra un anno, cinque, dieci o venti (sempre che il sito sia ancora in circolazione!). E se è così allora ho fatto la mia parte, oggi.
Del resto, come scrive Gabriel Garcia Marquez: “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.”
Certi giorni segui l’ispirazione, segui le immagini che emergono e non sai dove ti porteranno. Ma, alla fine, sai che stai per digitare le ultime parole e sai che da qualche parte sei arrivata. Forse era proprio questa la meta o forse domani riprenderai il cammino. Non importa, ora sei giunta qui e qui, per il momento, ti fermi e riposi.
Grazie per avermi tenuto compagnia in questo viaggio, sconosciuto viandante. Al prossimo!
Immagine in apertura di cortez13
grazie:)
e’ LA COSA PIU’ BELLA E SAGGIA CHE HO SENTITO, VISSUTO MENTRE LA LEGGEVO, DA QUANDO HA COMINCIATO QUESTA ” CRISI “…… grazie per averlo espresso cosi’ bene,..non so come ti chiami, artista della parola, pero’ mi unisco a te , al tuo modo di VEDERE la vita…..molto affetto…ivan
Grazie 🙂