Guestpost scritto da Pablo Pellegrini
Ami scrivere e perdere giornate intere del tuo tempo pensando a quale storia potresti inventare?
Rischi di inciamparti in ogni san pietrino perché sei sempre perso a fantasticare su qualche nuovo personaggio? Insomma… fai parte anche tu del club degli scrittori illusi che sognano di partorire una grande opera di narrativa? (e magari farci anche due soldi e un po’ di fama, che non guasta mai?)
Allora sei nel posto giusto, perché qui si parla di scrittura creativa.
Quando ci si impegna nella costruzione di un testo narrativo, che si tratti di romanzo o di racconto, la concentrazione è tutta diretta verso il mondo che stiamo creando, i suoi personaggi e le loro storie. Cosa potrebbe pensare il signor X mentre parla con la signora Y? Che cosa vuole fare? Quali sono le condizioni socio-economico-politico-culturali del mondo che questi due caratteri abitano?
Tutte preoccupazioni lecite e, direi anche, importanti per la creazione di una storia. Preoccupazioni che anch’io mi pongo, in quanto scrittore illuso.
Eppure nelle calde sere di quest’estate un vecchio e saggio amico mi ha ricordato che stavo tralasciando qualcosa. Qualcosa di profondamente importante ed essenziale per una storia. Il suo nome è Umberto Eco e, seppur già con l’anima in pace, attraverso il suo scritto “Sei passeggiate nei boschi narrativi” mi ha rivelato una cosa talmente semplice che non mi ero mai dato il tempo di rifletterci sopra.
La rivelazione è questa: qualsiasi cosa tu stia scrivendo, scrivi innanzitutto per un lettore. Che si tratti di milioni di persone che leggono il tuo best-seller, oppure di un solo poveruomo che per sbaglio ha scaricato il tuo ebook gratis dal tuo desolato sito internet, il succo non cambia. Sei sempre tu che scrivi perché qualcuno ti legga. Vi è anche un caso limite, nel quale sei tu che scrivi per poi rileggerti, o per sperare che, raggiunta la canizie, ti potrebbe venire la voglia di rileggere quello che scrivevi negli anni della tua incoscienza giovanile.
Qualunque sia il tuo caso (ti auguro il primo dei tre) ogni opera scritta è fatta per essere letta. Ora o fra mille anni; da uno, da nessuno oppure da centomila persone.
Nelle sue lezioni Umberto Eco parla proprio del rapporto fra autore, opera e lettore. E lo fa, come suo solito, con un guizzo di genialità spiazzante. Ci propone la metafora del Bosco narrativo. Ogni opera letteraria, ogni storia ed ogni romanzo sono come un bosco narrativo nel quale il lettore si addentra con curiosità, o per lo meno con la voglia di fare due passi.
Come in un bosco c’è chi desidera soltanto passare in fretta per il sentiero ed uscire dall’altra parte della selva, per sapere il finale della storia (chi muore e chi vive? Chi vince e chi perde?); così da poter dire di aver attraversato il bosco. Altri invece amano soffermarsi ad ammirare gli alberi, gli animali che pacificamente vi abitano, o qualche piccola radura che l’autore ha creato per loro.
C’è anche un terzo tipo di viaggiatore del bosco. Quello che si ferma incuriosito per vedere come è cresciuto quel bosco, come è fatto e quanto possa essere piacevole per chi vi entra. Si tratta dei critici, e di coloro che si occupano dello studio delle opere di narrativa. Questo è anche il lavoro che deve fare uno scrittore dabbene per imparare dai maestri l’arte di costruire un bosco.
Caratteristica speciale di questo bosco è il fatto che ad ogni pagina ci si trova di fronte ad un bivio, ad una scelta. “Da che parte andare?” oppure “Qual è il giusto sentiero da seguire? Sarà di qua?”. Si tratta dello spazio del non-detto, di tutto ciò che, lo scrittore, non può riferire e deve lasciare nelle mani del lettore. Perché il testo è una macchina pigra, che richiede la collaborazione di chi legge, e ci sono molti modi nei quali il lettore ha il potere di scegliere la forma della storia. Si pensi anche soltanto alla descrizione di un paesaggio. Nella maggior parte dei casi l’abilità dell’autore non sta tanto nel descrivere ogni particolare in maniera didascalica, anzi, una descrizione efficace deve lasciare spazio alla fantasia del lettore, dando solo le linee guida per muoversi nel bosco.
Il lato più interessante di questa metafora sta nel fatto che ogni storia, come ogni bosco, non è stata costruita per noi. Nemmeno l’autore può rivendicarne l’assoluto dominio. Il bosco narrativo è un luogo pubblico, dove può passare chiunque. Lo scrittore è l’architetto che deve progettare e creare un ambiente ad uso dei lettori e, come in ogni luogo pubblico, ci sono delle regole da rispettare.
Perché ogni racconto presuppone un patto implicito fra autore e lettore. Per esempio dice Eco: «Se un testo inizia con “C’era una volta”, esso lancia un segnale che immediatamente seleziona il proprio lettore modello, che dovrebbe essere un bambino, o qualcuno che è disposto ad accettare una storia che vada al di là del senso comune» . Se troveremo un lupo che parla alla nonnina non ci stupiremo, perché conosciamo le regole del gioco. Sappiamo che cosa ci si può aspettare e che cosa no. Quindi, se si entra nel bosco senza un minimo di senso civico (e senso dell’orientamento), non potremo apprezzare il valore dell’opera. Ugualmente, se si scrive un testo senza renderlo abitabile, come un bosco fitto di rovi ed ortiche, non si potrà certo pretendere che qualcuno desideri entrarci.
Ecco il lato essenziale che Eco mi ha fatto riscoprire: il gioco della narrazione. Un gioco fatto di accordi e regole, sia impliciti che espliciti, fra chi ascolta la storia e chi la racconta. Un autore non può prescindere dal ruolo del lettore, dal lavoro che la sua fantasia deve fare per creare i personaggi ed i luoghi. Chi vuole scrivere deve pensare alla sua opera come ad un bosco, ed un bosco può essere percorso in molti modi. Nessun autore, nemmeno il più prepotente, può costringere il viaggiatore a seguire un unico percorso. Detto in parole povere: ognuno vede la storia a modo suo.
Per questo quando ho guardato per la prima volta Harry Potter al cinema sono rimasto deluso dal castello, dalle magie e dalla faccia del protagonista… non erano quelli della mia passeggiata nel bosco.
Per chi ha tempo e passione per il tema della scrittura creativa, troverà nelle “Sei passeggiate nei boschi narrativi” molti altri spunti affascinanti ed essenziali, che gli faranno guardare il mondo della scrittura da un’altro punto di vista (troppi per l’articolo di un blog). Ma, per uno scrittore alle prime armi, o uno scrittore in crisi esistenziale, credo potrà bastare già questa prima metafora che il grande Umberto ci ha regalato. Piantate il vostro bosco narrativo, e fatelo in modo che qualcuno desideri entrarci, che voglia farsi un giro e giocare con voi. Fate sì che le regole siano chiare, di modo che non ci si perda (o che ci si perda giusto per il tempo necessario a godersi la perdizione, senza attacchi di panico). Ma, soprattutto, accettate il fatto che un’opera vada al di là del suo creatore, che non potrete mai possederla, né conoscere ogni percorso che i lettori potranno scovare al suo interno.
La scrittura è una collaborazione, un gioco a distanza fra chi scrive e chi legge. Un eterno gioco che ci vede impegnati da millenni con i più grandi autori e con chiunque abbia mai scritto e sia mai stato letto.
Quindi signori… zappa, badile, annaffiatoio… e iniziate a seminare il vostro bosco!