Incontrai nei miei viaggi un vecchio bramino, uomo saggio molto, di grande spirito e sapientissimo.
Un giorno il bramino mi disse: “Vorrei non essere mai nato. Da quarant’anni studio e son quarant’anni perduti perché insegno agli altri e ignoro tutto; questa condizione mette nell’animo mio tanta umiliazione e tanto disgusto, che mi è insopportabile la vita. Son nato, vivo nel tempo, e non so cosa sia il tempo; non solo mi è ignoto il principio del mio pensiero, ma ugualmente mi è ignoto il principio dei miei gesti; non so perché esisto. Eppure ogni giorno mi vengon fatte domande su tutti questi punti; bisogna rispondere, nulla di buono ho da dire, e parlo molto, e resto confuso e vergognoso di me, dopo che ho parlato.”
Lo stesso giorno vidi una vecchia che abitava nel suo vicinato e le chiesi se mai fosse stata afflitta di non conoscere come era fatta la sua anima. Neppure capì la questione: mai un solo giorno della sua vita aveva riflettuto su un solo punto di quelli che tormentavano il buon bramino, e purché avesse ogni tanto un po’ d’acqua del Gange si riteneva la donna più beata.
Colpito dalla felicità di quella povera creatura, tornai dal mio filosofo dicendogli: “Non vi fa vergogna essere infelice quando accanto alla vostra porta vive un vecchio automa che non pensa a nulla e vive contento?”
“Avete ragione,” mi rispose, “Cento volte mi son detto che sarei felice se fossi sciocco come la mia vicina, eppure non vorrei una tale contentezza.”
Questa risposta del mio filosofo mi fece più impressione di tutto il resto; esaminai me stesso e vidi che veramente non avrei voluto esser contento a patto di essere un imbecille.
Tratto da Storia di un buon bramino di Voltaire