Di queste cose non vorrei scrivere. Anche adesso, ma mi costringo. Vorrei fare altro, eppure mi dico: “No, è importante, rimani qui”. E poi mi chiedo: “Ma per chi le scrivi queste cose? Il tuo vero interlocutore non le leggerà mai”. O forse sì, forse l’unico interlocutore sono io. Del resto, la notizia l’ho intravista io e il dolore che ho provato è mio. Certe notizie, o meglio certe azioni anche se le leggo soltanto mi fanno male e il primo impulso che provo è di scappare. Di solito mi basta cambiare canale o sito e la notizia sparisce. Come se non fosse mai stata scritta, come se non fosse mai accaduto quello che invece è accaduto.
Credo che qualcuno di voi possa capirmi: ci sono così tante cose da cui vorremmo scappare o per le quali ci arrabbiamo ogni giorno. Fatti che sentiamo o leggiamo o a cui assistiamo e ci fanno sentire impotenti. E quando ci si sente impotenti ecco scattare i meccanismi di difesa, per quanto possano essere assurdi, come nel mio caso. Fuggire di fronte a un titolo di giornale… è mai possibile?!
Ebbene sì, ma poi a metà corsa rallentiamo il passo, ci guardiamo alle spalle, di sottecchi, finché non ci fermiamo del tutto e iniziamo a chiederci: posso fare qualcosa?
Direttamente no, non in questo caso, ma indirettamente?
Indirettamente, eccomi qui. Indirettamente ti sto scrivendo, sì scrivo proprio a te che tra fare il bene e il male, ieri e oggi, hai scelto il male. Che tra l’accarezzare il tuo cane hai scelto di prenderlo a calci, che tra il mettere in salvo un animale innocente hai scelto di ucciderlo. Che tra l’offrire un sorriso a qualcuno, hai scelto di deriderlo, che tra la gentilezza hai scelto la violenza.
Non sono qui per giudicarti, quello che è fatto è fatto. E forse in quel momento, quando la vita ti ha messo di fronte a una scelta, non hai visto altra possibilità. Forse non ci hai neppure pensato prima di sferrare quel calcio o dire quella cattiveria. Era naturale farlo. Forse non pensi neppure di aver fatto qualcosa di male perché non riesci a metterti nei panni dell’altro, animale o persona che sia. Tu sei tu e gli altri sono gli altri.
Non ti giudico perché è capitato anche a me di tirare calci o dire cattiverie, mi piacerebbe pensare di essere diversa da te e che certe cose non le farei mai. Ma se non fossi onesta prima di tutto con me stessa, avrei il diritto di scrivere a te? No, ti scrivo proprio perché c’è qualcosa che ci accomuna e allora, forse, riusciremo a trovare un modo per comunicare. E tu forse mi ascolterai e io ascolterò te.
Certe cose le facciamo perché siamo in gruppo, certe perché pensiamo di annoiarci, perché non ci sono stimoli abbastanza forti da farci sentire vivi. Certe perché abbiamo paura anche se non lo ammetteremmo mai, certe perché ci sono state fatte e allora dobbiamo “regolare i conti”.
Chi ti ha preso a calci nella vita? Chi ti ha picchiato o ignorato o deriso fino a farti sentire morto dentro? Chi ti ha spaccato in mille pezzi così da impedirti di ricordarti chi sei davvero?
Forse avevi due o tre o quattro anni. Forse ne avevi sette o otto. Forse ti è ricapitato a tredici o quindici. Forse ti sta ancora capitando e non sai cosa fare, ti sembra persino di aver smesso di provare dolore. Perché quando ce n’è troppo, semplicemente ti disconnetti e non provi più nulla.
Hai provato qualcosa mentre tiravi i calci e sentivo il cane guaire? Hai provato qualcosa mentre uccidevi un altro essere vivente? Hai provato qualcosa mentre deridevi quel tuo compagno di classe o quel perfetto sconosciuto?
Ti sei sentito potente? Invincibile? Al di sopra di tutto e tutti?
Hai provato qualcosa?
Forse non hai provato niente. Forse hai pensato che non importava.
Forse è la stessa cosa che ha provato chi ha preso a calci te, chi ha ignorato te, chi ha ferito te.
Prova a fare un passo indietro, provaci, e osserva quello che ti è successo. Ricorda quello che hai provato quando sei stato ferito, ignorato, distrutto nel tuo essere più profondo. Pensi che non importasse? Pensi di essertelo meritato? Pensi che fosse ingiusto?
Io penso che importi ed è per questo che non sono arrabbiata con te, solo molto triste. Perché un giorno capirai che ogni calcio, ogni pugno, ogni parola cattiva che riservi agli altri… sono un calcio, un pugno e una parola cattiva che ti infliggi. Cerchi di scacciare un dolore con un altro dolore: un gioco, questo, che non prevede vincitori.
E se sarai graziato un giorno, all’improvviso, saprai cosa hai fatto, sentirai come tuo il dolore che hai inflitto e sarà molto, molto difficile perdonarti. Ma quel giorno avrai una speranza.
Oggi non so, oggi forse non sei ancora pronto a guardarti in faccia e a guardarti dentro. Non parlo di coscienza ma di consapevolezza. Del renderti conto di cosa hai realmente fatto. Qualcosa di cui magari ti sei persino vantato. Oggi il tuo trofeo è lo scampo di un innocente. Non c’è onore in questo. Non si tratta di una battaglia, ma di una carneficina.
Ripeto, forse un giorno capirai ed è per questo che oggi ho scritto queste parole. Perché quando sarai pronto, quando il dolore e il rimpianto ti sommergeranno, tu sappia che sì, sì potrai essere perdonato.
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