Recensione scritta da Silvana Pincione
A volte le emozioni ritornano. Questo è ancora più vero, quando sono i libri a farle riaffiorare in superficie. Dopo “Cambiare l’acqua ai fiori” di Valérie Perrin, il tema della rinascita interiore torna ad affermarsi nel romanzo di un’altra scrittrice francese, Mélissa Da Costa.
Nata in Francia, studentessa di Economia e Management a Lione, la Da Costa si occupa di comunicazione in ambito energetico e climatico. Ha debuttato nella narrativa con Tout le bleu du ciel, che si è piazzato nel 2020 tra i primi posti nella classifica dei libri più venduti in Francia. Un anno dopo si è riproposta al pubblico con I quaderni botanici di Madame Lucie, che dei due romanzi è stato il primo a essere tradotto in Italia, dove ha conosciuto uno straordinario successo.
Amande e Violette: due donne diverse unite da un dolore insostenibile
La protagonista, Amande Luzin, è una giovane donna sui trent’anni. Come nel caso della Violette del fortunato romanzo di Valérie Perrin, fin dalle prime pagine del libro appare chiaro quanto abbia da raccontare, quanto il suo vissuto abbia lasciato un segno nella sua vita. Ci sono esistenze tagliate a metà come DA una falce, in cui tra il prima e il dopo la spaccatura è talmente tranciante da non lasciare speranza di risanamenti: quella di Amande è una di queste. Un incidente mortale lE strappa all’improvviso IL grande amore della sua vita Benjamin, lasciando intorno a sé lo scenario desolato di una vita distrutta. Come nel caso di Violette, la solitudine sembra essere l’unica risposta possibile a un trauma lancinante, che nell’enormità del suo abisso non può essere immediatamente compreso né curato.
Ma se Violette è una donna matura, forgiata da un dolore antico e con alle spalle un’esistenza travagliata, quella di Amande è una vita semplice, lineare, scandita dai ritmi tranquilli di un lavoro impiegatizio nel comune del suo paese e in cui la felicità appare lì a portata di mano, nel sogno innocente di un nido d’amore con Benjamin e nel progetto di una famiglia. In una vita felice, il dolore è un corpo estraneo che ne squarcia la cornice idilliaca con una spietatezza brutale. E infatti, in seguito allo tsunami del lutto, Amande sceglie di uscire da quella cornice di cui restano solo le macerie e di ritirarsi in campagna, “in mezzo al nulla”, in una casa a prima vista inospitale, fredda e desolata. È la fase immediatamente successiva al lutto, la più difficile da raccontare perché non ci sono parole per descrivere il senso di sgomento e di perdita che irrompono all’improvviso in una vita felice, eppure le parole sono la chiave che lentamente, giorno dopo giorno, permetterà ad Amande di rielaborare quanto è accaduto, dargli una forma, sottrarlo alla furia devastatrice del dolore. Ed è così che il lettore si ritrova ad accompagnare come un’ombra la giovane protagonista che nel suo primo periodo di permanenza nella nuova casa versa in uno stato quasi vegetativo: provvede al proprio sostentamento fisico in maniera meccanica, alimentandosi della scorta di cibo in scatola che ha portato con sé e per il resto trascorre le sue giornate a letto in un dormiveglia senza sogni, in cui i ricordi felici della vita con Benjamin si alternano a quelli traumatici della sua morte. Apprendiamo così grazie a questi flashback alcuni dettagli della biografia della giovane e diamo un’identità ad alcune delle persone che fanno parte della sua vita: i cognati Yann (fratello di Benjamin) e Cassandra, i suoceri Anne e Richard, i ragazzi del centro in cui Benjamin lavorava come educatore. Fa capolino anche Julie, la figlia di Lucie – la proprietaria dell’abitazione in cui è andata ad alloggiare Amande – che fin dalle prime battute si mostra una donna dinamica e intraprendente. In questa prima fase, la solitudine è una condizione autoimposta in cui non c’è spazio con il compromesso con la realtà e infatti Amanda nega a sé stessa il trascorrere del tempo e oscura le finestre: rifiutare la luce e offrirsi al buio, infatti, altro non è – e non può essere – che negarsi alla vita.
La scoperta dei quaderni botanici di Madame Lucie
Il giardino incolto che circonda la casa della giovane è lo specchio della trascuratezza di Amande che inizialmente, come ci si può aspettare, non lo degna di considerazione. Ma la vita nel continuare prepotentemente il suo corso a volte invia dei segnali che, per quanto ci si sforzi di ignorare, scalfiscono anche la più rigida delle corazze. Ed è quanto accade ad Amande il giorno in cui, riordinando la cucina, casualmente si imbatte in una serie di agende compilate a mano con una grafia “arrotondata ed elegante”:
Dei vecchi modelli, con una tetra copertina nera, ruvida, e la dicitura “Parrocchia di Saint Georges”. Le pagine sono tutte scritte. […] Su una […] riesco a leggere: ricetta della marmellata di fragole […] Sulla pagina seguente, scritta a penna verde, la procedura per trapiantare il songino […]
E l’indifferenza e l’apatia di Amande dal giorno di quella scoperta lasciano spazio gradualmente alla curiosità. Ma è ancora troppo presto per andare oltre e il lettore se ne accorge il giorno in cui nella vita spenta e monotona di Amande si affaccia una farfalla:
Una farfalla, troppa vita in un colpo solo. Movimento, colore, una presenza…Ero pronta a cogliere un raggio, un solo raggio dell’astro maledetto, ma una farfalla no… […] Agito le braccia, spero che il movimento la spaventi. […] Mi immobilizzo in mezzo alla cucina. In ogni caso, il sole è entrato in casa. […] Resto ipnotizzata per qualche secondo dallo spettacolo della polvere che danza nella luce […]
Queste righe evidenziano come l’incontro tra la luce e Amande sia ancora prematuro, eppure anche la farfalla, da ospite indesiderata, vuole essere portatrice di un messaggio: la vita ha la prepotenza e insieme l’urgenza di irrompere in qualunque momento, incurante del dolore. È un’irruzione silenziosa, ma in quel battito d’ali c’è la potenza di un grido.
Il trascorrere del tempo, insieme al pulsare della luce, è l’altro indicatore che pone Amande di fronte alla percezione di muoversi in uno spazio vitale, animato. I rigori dell’inverno che hanno accompagnato la donna nel lungo letargo del lutto a un certo punto lasciano spazio al risveglio della primavera:
Oggi il clima è mite, è vero […] Gli odori mi assalgono. I profumi della natura. Mi rendo conto che l’erba è cresciuta […] Il mondo esterno si impone sotto forma di colori vivaci […] Ripenso alle frasi che ho letto sul calendario della signora Hugues. Sistemare i mobili da giardino sotto l’albero di Paul. Mi avvicino all’albero con passo stanco […]
Le erbacce hanno invaso il rettangolo di terra. Cardi con punte assassine. Alcuni sono fioriti. Sorprendente. Non sapevo che i cardi fiorissero […]
La rinascita di Amande: dal buio del dolore alla luce di una nuova vita
Il primo incontro per Amande è all’insegna dell’osservazione di un universo sconosciuto, ma la diffidenza iniziale lascia ancora una volta lo spazio alla curiosità, il giorno in cui si affaccia nella sua mente un’idea rivoluzionaria:
[…] quando non mi immergo tra i ricordi, mi immergo nei diari della signora Hugues. Leggo e rileggo i suoi trucchetti di giardinaggio […] Non so di preciso quando sia germogliata nella mia mente l’idea di rimettere mano all’orto. […] per il momento mi accontento di leggere i suoi diari e di cercare di memorizzare il più possibile […]
Non a caso, Amande usa il verbo germogliare per definire il modo in cui l’idea ha preso forma nella sua mente. Un processo analogo riguarderà infatti la sua stessa esistenza e le permetterà di capire che, come il seme non esaurisce il suo ciclo vitale d’inverno con l’apparente morte della pianta, così la vita apparentemente si autorigenera e trae nuova linfa dalle opportunità di cui ci fa dono.
Il lettore accompagna Amande in tutte le fasi in cui si articola la gestazione che culminerà nella sua rinascita interiore. A poco a poco la giovane riprende le relazioni sociali, in primo luogo quelli con la sua famiglia acquisita, a cui la lega un affetto profondo, apre affettuosamente le sue porte a Mika, l’allegro e scanzonato adolescente frequentatore del centro educativo in cui lavorava Benjamin, riallaccia i rapporti con la madre da sempre conflittuali, accoglie la presenza di Julie nella sua quotidianità. Le due giovani non potrebbero essere più diverse, per indole, stili di vita ed esperienze, ma dal loro incontro scaturisce un’opportunità per Amande che si rivelerà determinante nella svolta che darà alla sua vita. La loro amicizia è un esempio illuminante di quanto potere abbia la solidarietà femminile di lenire le ferite e creare nuove opportunità di arricchimento e di crescita personale.
L’immagine del salice come simbolo del ricordo eterno di Benjamin
Ma nella nuova vita di Julie si staglia, immobile e monolitico, coriaceo ed inesorabile, il ricordo di Benjamin. Ne è muto testimone il salice che circonda il giardino e che Amande deputa a luogo di celebrazione della memoria dell’amato, caricandolo di simboli sacrali atti a purificarla dal dolore:
Vengo a parlargli qui. A volte porto lo stereo e accendo la musica. […] Ogni tanto accendo delle candele sul davanzale della finestra […] Io ho questo: la terra, gli alberi, le piante che nascono e muoiono, ma poi rinascono ancora, ho il vento che canta e fa danzare i colori tra i rami […]
Con uno stile limpido e scorrevole e un linguaggio semplice e immediato, Mélissa Da Costa ci regala pagine di commovente bellezza nel delineare la parabola ascendente di una giovane donna, che con coraggio risorge dalle ceneri come una novella araba fenice. Ci mostra come rinascere non sia sinonimo di forza ma di resilienza e di come il primo passo per conquistare la serenità interiore dopo un lutto devastante sia imparare a convivere pacificamente col dolore. Perché, come recita il sottotitolo del libro, “per essere felici non bisogna nascondere la tristezza”.
Informazioni sul libro
Titolo: I quaderni botanici di Madame Lucie
Autore: Mélissa Da Costa
Traduttore: Elena Cappellini
Editore: Rizzoli
Pagine: 300
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Immagine in apertura di Moshe Harosh