Primo dato di fatto: a tutti può essere dato in mano uno scettro ed essere detto “Ora governa!” A tutti, anche a un bambino.
Ognuno di noi può aspirare al ruolo di leader, in un qualsiasi ambito della propria vita. Si può essere leader per carisma, per tradizione o per burocrazia, come avrebbe detto Weber. Si può essere leader e si può essere buoni leader.
Secondo dato di fatto: non tutti i leader sono buoni leader ed è sufficiente carpire stralci di conversazione la mattina presto per rendersi conto che il luogo di lavoro, troppo spesso, è considerato una gabbia in cui i matti hanno preso il sopravvento.
L’altro giorno ero sul treno e una signora chiacchierava con le amiche sul mio stesso vagone. “Così non si può continuare”, l’ho sentita pronunciare. “Quella strega fa di tutto per impedirmi di lavorare. Solo perché un titolo le dice che è la mia capa non significa che sia in grado di esserlo veramente. È lunatica e mi carica di lavoro come se fossi un mulo. Non riesco mai a finire un progetto che sia uno! Fai questo e poi fai quello e quell’altro.”
Le amiche ascoltavano intervenendo solidali. “Mi ha persino detto che è colpa mia se non riesco a finire, che è perché non mi so organizzare! Certo, con lei che si crede Dio sceso in terra e non fa che indispormi! Passo metà del tempo a inveirle contro! Quando le chiedo un’informazione sembra che le abbia appena puntato una pistola addosso e mi guarda come se fossi una deficiente incapace di farcela da sola.” A ragione o torto quella signora era sinceramente afflitta dalla situazione che viveva sul posto di lavoro, in particolare con quel capo a suo dire indisponente e insensibile.
Quanti leader si comportano come il capo della signora? Quanti una volta raggiunto il potere, si siedono sul trono e fanno vivere ai loro sottoposti le pene dell’inferno per immaturità, incapacità e mancanza di sensibilità?
In un articolo apparso sulla rivista francese LesEchos si afferma che il segreto per essere un buon manager si può rintracciare nella frase di Voltaire: “Coltiva il tuo orto”.
Cosa significa?
Nient’altro che una semplice verità: ogni capo, manager o dirigente aziendale dovrebbe coltivare dei “rapporti sani, onesti ed equilibrati con i propri collaboratori”.
Più facile a dirsi che a farsi dato che per lo più i primi, come si afferma nell’articolo, sono nominati “sulla base delle loro capacità professionali e quasi mai per l’abilità nella gestione delle relazioni personali. Per questo si trovano di frequente a disagio con i loro collaboratori”.
Non è detto che tutti i cattivi capi siano dei capi stronzi (categoria di cui Robert Sutton ha ampiamente parlato nel suo libro Il metodo antistronzi, in Italia edito da Ellint), ma la mancanza di armonia che genera la loro presenza all’interno di un ambiente di lavoro è sinonimo di poca produttività, insoddisfazione, assenteismo e mancanza di motivazione.
Un’azienda è formata dalla persone che ne fanno parte: capi e collaboratori. In un’azienda contano il profitto e la produttività, ma dovrebbero contare ancora di più le persone e il loro contributo allo sviluppo dell’azienda. Se ad ogni ruolo non viene riconosciuta la propria importanza, né superiore né inferiore rispetto ad un altro ruolo, semplicemente diversa, l’anima di quell’azienda è destinata alla dannazione, l’azienda stessa al declino.
Ma a che serve un’anima quando ci sono di mezzo soldi, potere e una semplice quanto inequivocabile economia?!
Ecco che il leader diventa fabbricante di monete quando avrebbe potuto aspirare al ruolo di alchimista. Non è un miraggio e neppure un’illusione: è un diverso punto di vista.
E quindi? Come si diventa manager di successo in fretta, senza aspettare, per sempre?!
Partendo da un piccolo pensiero: i miei collaboratori sono i miei migliori alleati. Se mi stimeranno, daranno sempre il meglio di loro e di riflesso potrò valutare il mio successo personale.
Daniel Goleman ha scritto, con l’aiuto di altri due studiosi, un manuale sul modo di “Essere leader”. Nel libro, edito dalla Bur, gli autori delineano le caratteristiche vincenti di un buon leader, tra cui trova un posto importante l’empatia. Possiamo essere leader in tanti modi e ottenere diversi tipi di successo, ma rimane un’inconfutabile verità:
I grandi leader sanno scuoterci. Accendono il nostro entusiasmo e animano quanto di meglio c’è in noi.
Possiamo essere leader e possiamo pensare di essere persone di successo, ma la qualità dei nostri rapporti con i collaboratori dimostrerà il valore della nostra leadership. E la solidità del nostro successo.
Per saperne di più:
~ Devenir un bon manager, Lesechos.fr
~ Essere leader, Daniel Goleman, ed. Bur
~ Always Keep A Stock of Spare Heads, John Maeda
Nota: purtroppo gli articoli citati non sono più disponibili online
Quando il caso non è un caso. Oggi ho deciso di ripubblicare questo mio vecchio articolo, scritto ormai più di dieci anni fa. Mi è ricapitato sotto gli occhi, per caso appunto, in giorni caratterizzati da un terremoto emotivo sul mio luogo di lavoro. Rileggendolo ho pensato: cambiano le persone ai vertici delle aziende, ma cambiano le dinamiche? È triste ammetterlo, ma la risposta ad oggi è un secco no.
Se non cambia veramente la mentalità, non possono cambiare le azioni. E come fa a cambiare la mentalità? Solo rendendosi conto che le proprie intenzioni sono inficiate da interessi particolari e non da quella “grande visione” che si continua a professare con tanta foga.
Nessuno mette in discussione che ci siano decisioni difficili da prendere in situazioni di crisi, ma di che crisi stiamo davvero parlando? Perché una parola, come l’immagine proiettata in un caleidoscopio, può assumere tantissimi significati a seconda del punto di vista da cui si guarda.
Così, oggi, la mia domanda è rivolta a chiunque in questo momento sia chiamato a un ruolo di comando: che tipo di leader sei? Quali intenzioni muovono il tuo operato?
Immagine di svklimkin