Recensione scritta da Silvana Pincione
Ci sono libri e libri. Un libro indossa vestiti diversi a seconda di quello di cui il lettore ha bisogno. Ed è giusto che sia così, perché c’è un tempo per riflettere e un tempo per commuoversi, come c’è un tempo per sorridere senza altra finalità che quella di trascorrere qualche ora in amena compagnia. Quella di Diego de Silva è stata una scoperta recente e mi sono bastate le prime pagine per capire che la sua acutezza di spirito e il suo senso dell’ironia collocavano il suo libro nella seconda categoria.
Diego de Silva, classe 1964, scrittore e drammaturgo di origini napoletane, vanta di una produzione letteraria molto prolifica che gli ha valso numerosi premi letterari ed è collaboratore di diverse testate giornalistiche: il Mattino, la Stampa, l’Espresso. Nel 2007 con Non avevo capito niente inaugura la serie di Vincenzo Malinconico, a cui appartiene Sono felice, dove ho sbagliato?
Vincenzo Malinconico ovvero l’avvocato delle cause perse
Quello che di primo impatto mi ha colpito del personaggio di Malinconico è stata la sua umanità concreta, che traspare dalle sue azioni e movenze e trova la sua espressione più corposa nel linguaggio: non emerge nessuna istanza di elevazione a uno status come ci si aspetterebbe da un rappresentante della sua professione, ma anzi un’aderenza al quotidiano quasi rustica, informale, dissacrante.
E, in effetti, lo stesso autore, in un’intervista a Tuttolibri, descrive quello che per lui rappresenta la scrittura delle vicende di Malinconico con queste parole: “Un modo di giocare con l’Io e per prendermi tantissime libertà che prima non avevo”. Malinconico è e vuole essere uno di noi, che vive la precarietà in tutte le sue declinazioni – lavorativa, sentimentale, economica – e pur tuttavia ride di se stesso, senza cadere nell’autocommiserazione nemmeno quando si abbandona all’amarezza dei suoi pensieri.
Come tutti i personaggi dotati di spirito di osservazione e acutezza di pensiero, ha la capacità di individuare e demistificare le debolezze dell’animo umano, denudare maschere, portare alla luce finzioni e bugie. In Sono felice, dove ho sbagliato? questo aspetto diventa particolarmente evidente, perché il libro introduce un argomento accattivante che chiama in causa uno dei temi più scottanti con cui l’umanità talvolta si ritrova a fare i conti: le delusioni sentimentali, con annesso conseguente abbandono.
Malinconico e la class action dei cuori infranti
Anche per un avvocato specializzato in cause perse come Malinconico, ritrovarsi alle prese con un quesito di discutibile interesse giuridico rischia di diventare un rompicapo. Tutto ha inizio il giorno in cui Veronica, la compagna di Vincenzo, lancia una proposta scottante: la sua amica Maria Egizia detta Ega, reduce da una storia d’amore finita male con un uomo sposato, vorrebbe intentare una causa contro il suo ex amante, per averla condannata all’infelicità dopo averla abbandonata. Se all’inizio Malinconico boccia in toto l’ipotesi di dare credibilità e seguito a un assunto del genere, logicamente privo di qualsiasi implicazione di carattere legale, alla fine suo malgrado si ritrova invischiato – anche dietro la spinta del collega e amico Benny Lacalamita, che di Ega si è invaghito perdutamente – nella surreale impresa di gestire una class action costituita da alcuni rappresentanti della categoria sedotti e abbandonati, ribattezzati da Malinconico “impantanati”.
Ecco allora che il lettore fa conoscenza con i componenti di questo gruppo che sembrano ricalcare nella loro fisicità le macchiette del teatro plautino, caratterizzati come sono da una cifra stilistica che li rende esilaranti:
… un’impantanata magrissima con degli occhiali alla Woody Allen , il tenero Giacomo dal maglioncino a righe che ricorda l’omino della settimana enigmistica, un’impantanata sulla cinquantina dall’aspetto vintage, l’impantanato empatico che dice solo Perché […]
A capo dell’insolita brigata, la primadonna Ega, che si fa portavoce delle delusioni amorose dei suoi compagni di sventura, sintetizzate in un intervento accorato che ha tutto il sapore di un monologo:
[…] viviamo nella falsità e nella segretezza tutti i giorni, ricattati dai nostri sentimenti, lontani dalle persone che amiamo […] quando entriamo in questo teatro, rivendichiamo il nostro diritto di disinibirci del tutto.
È l’amore la causa della nostra infelicità. Ci ha spogliato della nostra dignità, dei nostri sogni, dei nostri diritti. Li rivogliamo indietro, e con tutti gli interessi.
Malinconico spettatore del teatro degli impantanati
Il messaggio che emerge e che colpisce con forza il lettore è quello in cui la coppia rimane intrappolata senza riuscire a trovare una via di fuga. In questa situazione stagnante, può allora succedere che uno dei due partner, una volta raggiunto il punto di saturazione, trovi la forza di rompere gli indugi e dire addio all’altro, senza tuttavia prendersi fino in fondo le responsabilità della propria scelta, ma anzi scaricando addosso all’ex la colpa della fine della relazione.
In questa ottica, le esperienze sentimentali riportate dalla stralunata comitiva degli Impantanati diventano una sorta di cartina al tornasole dell’altra faccia della medaglia dell’amore romantico e dei rapporti di coppia solidi. E se da un lato Malinconico veste i panni dello spettatore che assiste con ironia dissacrante ai melodrammi messi in atto dalla compagnia degli impantanati, dall’altro il suo distacco è solo apparente, perché dando loro visibilità li autorizza a essere liberi di gridare a gran voce la propria volontà di rivalsa.
L’evoluzione del personaggio di Malinconico
Il racconto delle rocambolesche vicende della compagnia degli Impantanati si collocano nella cornice di un contesto narrativo che vede Malinconico protagonista di una serie di esperienze: la figlia Alagia, avuta dall’ex moglie Nives, lo sta per rendere per la prima volta nonno, il figlio Alfredo è alle prese con il suo primo cortometraggio che lo vede coronare il sogno di sempre – quello di diventare regista, un losco energumeno lo sta pedinando…
Anche nel coinvolgere il lettore nella narrazione delle sue storie personali, Malinconico si lascia di quando in quando prendere la mano e si abbandona alle riflessioni filosofiche che lo hanno da sempre contraddistinto, prendendo spunto dalle situazioni più concrete che ognuno di noi sperimenta nel corso della vita di ogni giorno. L’impressione a questo punto del percorso – questo è il sesto libro che De Silva dedica al suo personaggio – è che Malinconico sia riuscito nell’impresa di evolversi senza tradire la sua essenza più profonda, quella che con Non avevo capito niente, il primo volume della saga, ha fatto innamorare i lettori. Un’evoluzione che era già stata anticipata nel quinto libro I valori che contano, quando il personaggio aveva dovuto fare i conti con un evento impattante, di quelli che con brutalità ti sbattono davanti tutta la precarietà della vita umana. Un Malinconico esemplare nel dimostrarci come anche nella ricerca della consapevolezza di sé sia possibile non prendersi troppo sul serio.
Lo stile di De Silva tra digressioni e battute fulminanti
Se ciò che è davvero capace di fare differenza in letteratura è lo stile, De Silva ne ha inventato uno decisamente suo in cui la narrazione si srotola in un gomitolo interminabile intessuto di digressioni, flussi di coscienza, motti di spirito: il risultato è quello di catturare il lettore in una spirale di risate e riflessioni miscelate nella stessa misura, un po’ come in un cocktail, la cui riuscita è data dalla sapiente mescolanza di due ingredienti diversi. Fuor di metafora, De Silva ci mostra come dall’unione di due dimensioni – filosofia e spirito – nasca un umorismo sottile, intelligente, arguto, che ci riguarda molto da vicino, in quanto trascende dalla natura fittizia del personaggio di fantasia e ammicca alla concretezza della vita di ognuno di noi.
Informazioni sul libro
Titolo: Sono felice, dove ho sbagliato?
Autore: Diego De Silva
Editore: Einaudi
Pagine: 248
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