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L’altra faccia del dolore, il progetto

Ci sono persone che instancabilmente cercano. Cercano cosa? Cercano: è un’attitudine, non tanto un’azione volta a un obiettivo. Si aprono alla ricerca come solo un avventuroso saprebbe fare. 

Però non tutti cercano allo stesso modo. Ci sono persone che cercano solo nel mondo, in quello che si può scoprire fuori da noi: sono persone che scoprono luoghi, fanno esperienze e sono sempre in movimento. Un movimento che è verso qualcosa.
E ci sono persone che cercano fuori ma anche dentro: che sono affascinate dai grandi panorami, ma anche dalle grotte sotterranee. Sono persone che sanno che il mondo non è tutto fuori dalla loro pelle.

È a questo secondo gruppo di persone che mi rivolgo quando scrivo. Non dubito che nel primo ci siano persone bravissime, che varrebbe la pena di conoscere, ma temo non ci capiremmo: semplicemente parliamo due lingue diverse.

L’importante è esserne consapevoli, senza pregiudizi. Questa premessa per introdurre il progetto che oggi ho deciso di condividere con i lettori di questo blog: si tratta del riadattamento di una tesina che scrissi qualche anno fa. È un progetto che è rimasto per un po’ nel cassetto, come tanti altri, e infine ho deciso di tirarlo fuori e rimetterci mano. 

Non si tratta di nulla di eccezionale o rivoluzionario, quanto di un argomento in cui, qualunque cercatore interiore, prima o poi inciampa: il dolore. Anzi, spesso è proprio il punto di partenza da cui si innesca la ricerca successiva.

Immagine di Victoria_Regen

Perché sto male? Perché non riesco ad essere felice? Oppure: mi è successa questa cosa e non riesco a superarla. La mia vita non ha senso, non è la vita che avrei voluto… e potrei andare avanti all’infinito. 

Ecco, sono anche le domande che io stessa mi sono posta per tanto tempo e sono le stesse domande a cui ho provato a dare una risposta, al termine di un percorso di studi di tre anni. Certo, una risposta parziale e condizionata da quello che avevo imparato, ma non solo. La vita. Come non metterci dentro la vita e le esperienze che ogni giorno ci dona? Lei è la grande Maestra: lei insegna, ci offre le occasioni di apprendere, noi siamo gli studenti; i libri, le teorie sono gli strumenti che ci possono aiutare. 

Ma non solo libri e teorie, anche un film, una canzone, la chiacchierata con un amico o una conversazione ascoltata per caso sullo scompartimento di un treno: tutto può insegnare, illuminare, tutto può aiutare. L’unica discriminate? Avere orecchie per ascoltare. Il che non significa accettare senza discernere, ma avvicinarsi, assaggiare quel cibo che ci viene offerto per poter decidere se fa per noi o meno.

Il mio obiettivo è condividere quello di cui ho fatto esperienza, che ha aiutato me perché, chissà, magari potrebbe aiutare anche qualcun altro. Però è fondamentale accettare il fatto che si tratta di un viaggio che ciascuno deve fare in prima persona, non ci sono scorciatoie: ognuno ha la sua via da percorrere e può percorrerla solo con le sue gambe, non con quelle di qualcun altro.

Non è colpa di qualcun altro se ti senti solo.
Non è colpa di qualcun altro se non ti senti amato.
Non è colpa di qualcun altro se la tua vita non ti piace.
E non è neppure colpa tua. 
Si tratta di scegliere, ogni giorno. Puoi scegliere sempre, anche adesso.

Puoi non volerlo fare, puoi pensare che sia rischioso, puoi pensare che andrai in pezzi se lo fai. Se è così datti tempo, ma non credere a tutte le bugie che ti racconti.

Immagine di Stefan Keller

Ci sono persone che percorrono la via della gioia. E ci sono persone che, per un po’, devono percorrere quella del dolore. Ma non si tratta di una condanna, è un viaggio. Forse un po’ meno confortevole, ma come ogni cosa nella vita, passerà anche questo momento. Però lo devi guardare in faccia. Puoi aspettare per affrontarlo, ma non puoi esimerti dal guardarlo in faccia.

Concludo con un brano tratto dall’introduzione della tesina che, nei prossimi articoli, condividerò in una versione adattata per il blog. 

Tempo fa feci un sogno: mi trovavo davanti allo specchio del bagno e mi stavo preparando per uscire. A un tratto mi sentivo strana, abbassavo lo sguardo verso la pancia e mi aprivo il torace come se ci fosse uno sportello. E, attraverso lo specchio, vedevo che dentro ero piena di vermi. 

Forse più che chiamarlo sogno, dovrei definirlo incubo, ma in realtà non mi aveva spaventata, era più che altro come se stessi constatando una situazione.

Venni in seguito a sapere di una frase presente nel Libro Rosso di Jung:

L’ombra rispose, “Ti porto la bellezza della sofferenza. Che è quello di cui ha bisogno chiunque ospiti il verme”.


 In originale: The shade answered, “I bring you the beauty of suffering. That is what is needed by whoever hosts the worm.” Liberamente tradotto.

La bellezza della sofferenza. Non parliamo di esaltazione della sofferenza, nient’affatto. Si tratta di partire da una diversa prospettiva, dal mettere un dubbio laddove crediamo di avere certezze: il dolore è spiacevole, la sofferenza va evitata a tutti i costi. 

Che tipo di bellezza potrebbe mai esserci in un’esperienza dolorosa?
Se ti va, possiamo scoprirlo insieme.

Prossimo articolo: Una via chiamata dolore

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Leggi tutti gli articoli del progetto

Immagine in apertura di Angela Yuriko Smith

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Tag: Last modified: 2 Ottobre 2023