Recensione scritta da Silvana Pincione
Con Sempre tornare (2021, vincitore del Premio Flaiano per la narrativa) Daniele Mencarelli chiude la trilogia autobiografica inaugurata con La casa degli sguardi e proseguita con Tutto chiede salvezza. Se i primi due libri raccontano la maturità dell’inquietudine del vivere, Sempre tornare è il frutto acerbo e al contempo il nucleo originario del tormento esistenziale dell’autore, lo stesso da cui ha avuto origine la sua febbrile ricerca di senso della vita.
Dalla vacanza con gli amici all’autostop in solitaria: la missione di Daniele
Siamo nel 1991 e Daniele ha 17 anni. Sta trascorrendo le vacanze estive nell’affollata e mondana riviera romagnola: due settimane lontano dalla sua casa romana che ha in programma di spendere insieme ai suoi amici all’insegna del divertimento più sfrenato, tra giornate al mare e serate in discoteca. Ma accade che in seguito a un increscioso episodio avvenuto nella notte di Ferragosto (“una nottata che è stata una sciagura”) decida di congedarsi dal suo gruppo di amici per intraprendere l’impresa audace di fare ritorno a Roma interamente in autostop. E basta scorrere poche righe per rendersi conto che quell’episodio in realtà è solo il pretesto, che alla base di quella decisione c’è un disagio profondo, un turbamento che lo divora da dentro:
Non ne parlo con nessuno. A parte quelli che non possono rispondermi. Gli animali. La natura. La bellezza sterminata delle cose. Devo capire. Io sono qui perché devo capire. Non posso più fare finta di niente. […] Ogni giorno nel mio petto esplode un duello, sempre lo stesso. Un duellante si chiama Tutto. IL suo avversario si chiama Niente. […] Non può esistere grigio. […] Ma questo non si può dire. […]
Ho quindici giorni di tempo, tanta strada da fare. Sarà questo viaggio il punto di svolta […]
Con il coraggio incosciente che anima gli adolescenti, Daniele inizia così la sua avventura. Sfida il caldo rovente di agosto e i morsi spietati della fame e della sete, lottando contro la stanchezza che col passare delle ore diventa sfinimento. La scoperta improvvisa di aver dimenticato soldi e documenti nello zaino dell’amico lo rende ancora più vulnerabile. Diventa ancora più evidente, a questo punto, che da solo non può farcela. E proprio quando le speranze di rimediare un passaggio di fortuna stanno per abbandonarlo, “una macchina si ferma”:
È una Volvo 240, la macchina che amo più in circolazione […] nuova nuova. Anche il colore è perfetto. Antracite. O qualcosa di simile.
La Volvo su cui Daniele salirà a bordo sarà la prima di una lunga serie di macchine che scandiranno le fasi del suo lungo viaggio. Un viaggio che non si configura semplicisticamente come un percorso per rientrare a casa, così come i passaggi di fortuna rimediati dal ragazzo non vanno letti come mezzi aventi solo questa finalità.
Il viaggio che Daniele compie è innanzitutto un viaggio alla scoperta di sé stesso, che gli insegna a contare sulle sue risorse interiori per poter fare fronte a situazioni di rischio, ma anche a fare affidamento sugli altri per la propria sopravvivenza ed incolumità. Il contesto è quello dell’Italia degli anni ’90, quando ancora i cellulari non esistevano e la conoscenza delle persone passava necessariamente attraverso il contatto fisico, pelle a pelle. Le persone in cui si imbatte Daniele facendo l’autostop si offrono alla sua vista senza filtri, incarnando di volta in volta tipologie antropologiche differenti, ma accomunarle è un’umanità di fondo non esibita e proprio per questo, ancora più autentica, l’umanità che si rivela aprendosi in chiave compassionevole all’altro per offrirgli un rifugio in cui dormire e un posto a tavola per mangiare.
L’incontro con Emma
Poi Daniele incontra Emma e la sua vicenda avventurosa arriva ad un punto di svolta. L’attrazione per la giovane è incendiaria e carica di tutto lo struggimento che caratterizza solo l’amore adolescenziale.
Lei non era prevista. Non così. Non ora. Senza modo di prepararmi, di pettinarmi, di rendermi visibile. […]
Che cosa strana è il tempo. O forse che cosa strana sono io. Noi. Viviamo dentro vite inscatolate, quando fuori, in mano alla libertà, ci è concesso questo. Fare di ogni giorno una festa di incontri, di luoghi mai visti, di sconosciuti con cui ti metti a tavola come se lo facessi da sempre.
Attraverso Emma l’inquietudine febbrile di Daniele torna a manifestarsi con insistenza nel bisogno disperato di trovare un senso nelle cose, nell’ostinata volontà di non cedere davanti alla paura del Caos, del Nulla:
Lei sorride. […] Al dolore, al sentimento del Nulla, quello che mi divora se gli permetto di entrare nella mia testa, non ho altro da opporre che la bellezza. […] La bellezza è una promessa […] Promessa di verità. E un giorno, lo giuro, ci arriverò. Capirò tutto.
Ma la missione che Daniele è chiamato dalla vita a compiere – quella di evolversi – non ha per epilogo la realizzazione sentimentale. Crescere è un processo doloroso da compiere in solitudine:
Prendiamo il mio viaggio, per anni la mia vita mi è sembrata tutta in salita, contro dei nemici impossibili da sfidare, figuriamoci battere, a partire dalla timidezza. Invece adesso so di potercela fare, da solo con le mie forze, ad affrontare tutte le prove che mi capiteranno. Ora so di cosa sono capace.
La vita è un percorso ad ostacoli, un sentiero impervio che ha da riservare a Daniele prove ancora più impegnative di quelle che è arrivato a superare fino ad ora. La natura dell’uomo è quella di un Giano bifronte, in cui Bene e Male si fronteggiano, in uno scontro dicotomico senza vincitori né vinti, all’interno di un caleidoscopio in cui la convivialità e l’accoglienza convivono con l’aridità e l’egoismo, la compassione e la generosità con il cinismo e la crudeltà, la speranza con la disperazione. Ad un certo punto nella propria esistenza non ci si può sottrarre alla necessità di prenderne atto e la vita in quel momento viene a riscuotere il conto. Daniele paga il suo senza sconti, ma in cambio riceve una consapevolezza che gli rimarrà per sempre e cambierà la sua vita:
Di questo viaggio resterà una certezza, questo sì.
Ho chiesto tanto. E tantissimo ho ricevuto.
In molti mi hanno aperto la loro casa, mi hanno accolto come un’amico offrendomi la sacra intimità delle loro cose […] Io uno sconosciuto raccolto per strada. Di tutto l’aiuto che mi hanno dato, i primi a sorprendermi sono stati loro. Si sono scoperti dentro una generosità che non sapevano di avere. […] Io come ogni essere umano, siamo qualcosa di diverso, spesso più grande, rispetto al racconto che ci facciamo di noi stessi. Per scoprire quello che siamo veramente, abbiamo solo una maniera. Farcelo dire dagli altri.Accogliere le loro richieste , i bisogni, e nell’aiuto offerto scoprire la nostra reale statura, nostra e del nostro cuore.
Lo stile dell’autore tra realismo colloquiale e plurilinguismo
In Sempre tornare la dimensione temporale compressa dei volumi precedenti lascia spazio a una distensione più ampia; alla patina claustrofobica di Tutto chiede salvezza e l’omogeneità nell’ambientazione de La casa degli sguardi si contrappone qui una concezione dilatata dello spazio narrativo. Dal punto di vista stilistico ritroviamo lo stile essenziale di Mencarelli, la sua schiettezza, che vede scarnificare la parola da ogni forma di orpello per restituirla alla sua purezza originaria. L’italiano letterario, aulico – in cui si inscrive il pensiero del giovane Daniele – convive con il dialetto romanesco, in un polilinguismo riprodotto nei dialoghi con estrema precisione e adesione al reale. La stessa dimensione intimista che fa da cornice alla vicenda narrativa rivela una struttura poetica, evidente nella scelta espressiva della paratassi per dare voce alle riflessioni del protagonista.
Sempre tornare è romanzo di formazione che elegge la poesia a codice comunicativo in grado di raccontare la vocazione dell’uomo nel suo percorso di ricerca di senso della vita, di una spiritualità profonda che abbracci ogni gesto e azione umana, di un assoluto che lo ricongiunga alla sua natura originaria. Nel percorso a ritroso con cui l’autore ci ha accompagnati finora, da un punto di vista narrativo questo libro vuole essere un punto di arrivo che porta a naturale compimento questo percorso.
Informazioni sul libro
Titolo: Sempre tornare
Autore: Daniele Mencarelli
Editore: Mondadori
Pagine: 324
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La serie di Daniele Mencarelli (recensioni)
Immagine di Gilberto Parada