Scritto da Pensiero Distillato Racconti Storie e aforismi

Il Natale più bello di sempre

Era una vecchina perbene, così si raccontava, eppure durante il periodo dell’Avvento s’ammattiva. Le prendeva quella che i suoi compaesani definivano “stravaganza di Natale” e non c’era verso di farla rinsavire. Una stravaganza innocua, solevano sottolineare, ma pur sempre una stravaganza, una bizzarra abitudine che l’era presa da quando, mormoravano, il marito non c’era più e i figli erano uno di qua e l’altro di là, sempre di corsa, poco avvezzi ai ritmi più lenti di una madre ormai novantenne.
   I suoi vicini la osservavano incuriositi mentre lei, puntuale, ogni otto di dicembre da ormai dieci anni, si avventurava fuori dall’uscio di casa, tra le braccia una piccola cesta in vimini, sempre la stessa. Faceva pochi passi e si fermava. Che piovesse o tirasse vento, che brillasse il sole o nevicasse, poco importava: lei non avrebbe disatteso quel rito per nulla al mondo. Si raccontava che la sua salute fosse ormai compromessa, si scommetteva sul fatto che quell’anno sarebbe stato l’ultimo, che no, per lei non sarebbe arrivato un nuovo autunno. Ma ogni volta le previsioni venivano disattese, le scommesse, non pronunciate, perse. Del resto, loro questo non lo sapevano, ma la vecchina sì: c’erano appuntamenti per i quali la vita ti avrebbe sempre fatto vivere un giorno in più. Non per forza sarebbero stati appuntamenti graditi, ma improrogabili.
   Anche quell’anno la vecchina si strinse nello scialle di lana pesante, la cesta stretta intorno alle esili braccia e uscì. Stava albeggiando quando, pochi passi dopo, si fermò davanti a un cespuglio di rosmarino, il loro amato rosmarino. Lo avevano piantato insieme, lì, a pochi passi dalla casa, e poi lui aveva continuato a crescere, a farsi strada prima esile e poi sempre più forte, in mezzo a erba, terra, sassi, difficoltà e ricompense. Solo da qualche anno era diventato anche altro, non solo un forte cespuglio di rosmarino, ma anche un timido albero di Natale. La vecchina tuffò una mano nella cesta e ne estrasse una piccola pallina dorata, poi una argentata, una rossa, una gialla, una blu. Tutte piccole, tutte colorate. Era diventato sempre più difficile per lei rispettare quel rituale e, con gli anni, aveva dovuto via via abbandonare abitudini forse più natalizie, ma che le richiedevano anche più energie. Col tempo, ogni altro albero di Natale aveva ceduto il posto a quell’orgoglioso cespuglio di rosmarino. Quando la cesta si rivelò vuota, la vecchina rimirò il suo piccolo albero profumato e colorato, gli regalò un sorriso soddisfatto e tornò sui suoi passi.

Immagine di Markus Spiske

   Si era appena richiusa la porta alle spalle quando la riaprì, comparendo con una nuova decorazione tra le mani. I suoi vicini lo sapevano, era quella che contava più di tutte. Tante volte glielo aveva raccontato: si trattava di una stella in legno, dipinta a mano, con al centro un piccolo cavallo a dondolo intagliato. Era un dono di gioventù, un dono che non potevi comprare in un negozio e per questo valeva di più. La vecchina lo ripeteva a chiunque avesse tempo e pazienza per ascoltarla: “Certi doni, quando li ricevi, poi non sei più lo stesso, non lo puoi essere più perché lo hai sentito. L’altra persona ti ha fatto un dono che va oltre ogni possibile dono: con quella piccola cosa, per alcuni forse brutta o inutile, lui ti ha detto ‘è per te, questo sono io, ti dono una parte di me. Questo l’ho fatto io per te’.”
   La stella in legno decorava ora la porta d’ingresso che, infine, la vecchina si richiuse alle spalle. Ma era solo l’inizio, e i suoi vicini sapevano anche questo. Per tutto il periodo che li divideva dal Natale, lei sarebbe uscita ogni mercoledì, giorno di mercato, con un nuovo carico di piccoli doni. Li preparava in casa con rametti del suo amato rosmarino e una piccola stecca di cannella tenuti insieme da un filo di spago. Era brava, le venivano bene quelle piccole decorazioni, nonostante le mani tremanti e i reumatismi.
   Quando incontrava un bambino, tirava fuori dalla borsa uno di quei rametti e glielo regalava dicendo: “Ecco qui un piccolo dono, è Babbo Natale che te lo manda per ricordarti di lui. Eh piccolo, mi raccomando: ricordati di lui!”
   I genitori e i nonni che accompagnavano i bambini accoglievano benevolmente i suoi doni, la lasciavano fare perché la conoscevano e si dicevano che era vecchia, innocua e, poverina, si doveva sentire tanto sola. Non poteva che essere così: quella stravaganza di Natale le era presa perché cercava di lenire un po’ quella solitudine da cui doveva pur difendersi in un qualche modo. E poi, si rassicuravano, che male poteva mai fare dicendo ai bambini che Babbo Natale esisteva e che sarebbe arrivato? I bambini erano bambini, potevano ancora crederci alla storiella e poi, poi sarebbero cresciuti e tutto sarebbe andato a posto. Sì, che male poteva mai fare quella solitaria vecchina? E lei, alla fine del suo giro, serena se ne tornava a casa, la borsa ormai vuota, e attendeva. Perché anche lei lo sapeva, in fondo, che i suoi vicini non si sbagliavano del tutto: gli acciacchi aumentavano, l’energia diminuiva, ogni tanto un colpo di tosse, il cuore le faceva una capriola, piccola, alle volte più grande, le mancava il respiro. Si doveva sedere, respira, si ripeteva, respira piano. E allora passava, fino al successivo. Nonostante questo, però, la sua era un’attesa quieta, gioiosa. Si sedeva accanto alla stufa, una piccola stufa che aveva convinto il marito a comprare tanti anni prima, perché, gli aveva detto, aveva bisogno del suo calore, del suo colore. Di quel fuoco che scalda e rincuora. Certo, c’erano anche i termosifoni, ma la stufa, quella soltanto, le avrebbe rimesso a posto il cuore.
   I figli passavano da lei ogni giorno, le sbrigavano le faccende a cui non era più in grado di badare e ogni tanto le chiedevano: “Perché lo fai? Perché regali quei bastoncini? Tanto non importa a nessuno e pensano tutti che tu sia strana.” Poi, guardinghi, aggiungevano: “Lo sai anche tu che è tutto finto, vero?” E la vecchina sorrideva, scuoteva la testa e replicava: “Lo dite voi che è finto, ma io so che non è così. È importante che qualcuno lo ricordi. Ci deve essere qualcuno che lo ricordi.”
I figli allora tacevano e, di nascosto, si preparavano al momento in cui avrebbero potuto infine condurla in un luogo forse meno accogliente, ma più sicuro, per lei e per loro.
Si rassicuravano: passa questo Natale e poi glielo diciamo, tanto non potrà più farcela da sola.

Immagine di Mollyroselee

   E invece la vecchina disattendeva anche le loro di previsioni: i mesi passavano, le stagioni si rincorrevano e alla fine tornava il Natale e lei si reggeva ancora sulle sue gambe, il cuore resisteva e la memoria era più salda che mai. La vecchina girava l’ultimo foglio del calendario, leggeva “Dicembre” e risentiva, come ogni anno, la piccola stella che le danzava dentro diventare sempre più luminosa e risplendere in un cielo buio di giorni tutti uguali. Era tornato il tempo, il tempo di far ricordare. Se avesse regalato i rametti agli adulti non sarebbe servito a niente, ma con i bambini, con loro aveva ancora una speranza che, anche quando fossero cresciuti, avrebbero serbato il ricordo della magia e della meraviglia, che dentro di loro, ben nascosto alle orecchie altrui, si sarebbero continuati a ripetere: in fondo io lo so che esiste, io lo so.
Sarebbero diventati degli uomini e delle donne come tutti gli altri, a vivere vite come tante altre, ma nel profondo loro avrebbero ricordato, avrebbero ancora saputo. Ecco perché lo faccio, si diceva tra sé e sé, anche se voi non capite, figli miei.
   Perché era così importante per lei? La vecchina non poteva dirlo con certezza, ma sapeva che certe cose erano importanti per mantenere il mondo in equilibrio: il mondo grande, là fuori, e il mondo piccolo, dentro. Certe cose non potevano essere dimenticate. Cosa sarebbero stati gli uomini senza la gentilezza, ad esempio? Cosa sarebbero diventati senza la meraviglia di un’attesa? A cosa si sarebbero votati se non avessero più provato gioia? Di cosa si sarebbero privati se, alla fine, tutti, nessuno escluso, avessero finito per dimenticare Babbo Natale?
   La sua era una missione. Era in missione per conto dello Spirito del Natale. Qualcuno avrebbe dovuto continuare la sua opera, dopo di lei. Non sapeva a chi sarebbe toccato quell’onore, ma sapeva che la sua “stravaganza di Natale”, come la definivano le persone alle sue spalle, era in realtà una semina.
   Semina con attenzione perché poi arriverà il tempo della raccolta, le ripeteva suo nonno e lei aveva fatto tesoro di quella saggezza.
   Negli ultimi anni la sua mente tornava spesso al passato, a chi aveva conosciuto per poi perderlo, non sul serio, si consolava, non nel suo cuore, ma in un qualche modo non poterlo più abbracciare, non poterne più accogliere il sorriso, le faceva percepire una perdita che seppur forse non definitiva, non assoluta, era comunque reale.
   Così la vecchina non si risparmiava, mai, a ogni nuovo dicembre, e durante la vigilia di Natale ancora di più, affinché tutti i bambini si ricordassero che Babbo Natale sarebbe arrivato quella notte stessa e avrebbe concesso doni meravigliosi a chi lo avrebbe atteso. Non era vera la storia della lista divisa in buoni e cattivi, lui non faceva distinzioni, eravamo noi stessi a farlo. Eravamo noi a dire: sì, me lo merito; no, non me lo merito. Ma merito cosa? La gioia: sì, mi merito di essere felice; no, non penso di meritarlo.
Infine, anche la giornata della vigilia scivolava via e arrivava il momento tanto atteso.

Immagine di Mollyroselee

   Come ogni ventiquattro dicembre, anche quell’anno, allo scoccare della mezzanotte, la vecchina si riscosse dal suo sonno leggero. La stufa era ormai spenta, solo la tenue luce di una lampada a illuminare il freddo tutt’intorno. La vecchina si alzò a fatica, le giunture irrigidite, si avvolse nello scialle di lana e uscì. Nevicava. Tremante tese una mano per raccogliere un fiocco di neve. La richiuse e percepì il delicato e gelido tocco del fiocco che le si scioglieva nel palmo. Lo sentì, era lì, era con lei. Chiuse gli occhi e lo ringraziò. Tanti, tanti anni prima, a lei era stato fatto un dono e, da quel momento in poi, non aveva smesso, mai, di ringraziare e di seminare. Era il suo contributo, la sua missione. Era un restituire per il tanto che sentiva di aver ricevuto.
   Anche se adesso era sola, anziana, con tanti, troppi acciacchi a tenerle compagnia, e sentiva tra le dita che le pagine del suo libro si stavano assottigliando, che quello sarebbe stato l’epilogo, non temeva più di leggerne le ultime righe, le andava bene così. Con gli occhi puntati al cielo luminoso di neve, ringraziò perché era vissuta abbastanza per vedere un’altra vigilia di Natale, per ricordarsi, un’altra volta, di tutte le vigilie di Natale che aveva accolto nel suo cuore. Anche quelle più tristi e solitarie, anche quelle in cui la mancanza fisica di chi amava le strappava una lacrima. Lui, anche in quelle occasioni, soprattutto in quelle, non si era dimenticato di lei. E lei non si sarebbe dimenticata di lui, anche dopo che non ci sarebbe stata più, avrebbe fatto in modo che qualcuno si ricordasse di lui. Ma chi era lui? Era un nome? Un’idea? No, niente di tutto questo. La vecchina lo conosceva bene: lui era la gioia di un’attesa, la meraviglia negli occhi di chi scopre, la pace di chi si siede accanto a un fuoco che scoppietta, l’amore che inonda il cuore quando tutto tace e l’unico tum tum è il suo, è il tuo. È l’essere vivi, è l’essere presenti. È il sentirsi a casa ovunque tu sia. Perché tu lì ci sei, lì c’è il tuo cuore e lì c’è il ricordo di una vita che hai vissuto e che ne è valsa la pena. Bella, imprevedibile, complicata, sofferta, ineguagliabile. Una vita, una storia, tanti ricordi. E una promessa, una sola, che però la vecchina sapeva di aver mantenuto, a modo suo: sarai ricordato. Anche dopo di me, anche per me. Chi sei tu, quello che tu rappresenti: farò in modo che tu sia ricordato.
   La vecchina riaprì la mano, il palmo verso il cielo, poi si voltò stringendosi nello scialle e lanciò un’ultima occhiata alla stella di legno appesa alla porta.
“Arrivo, amore mio”, sussurrò. “Tra poco arrivo anch’io. E sarà bello, già lo so. Sarà il Natale più bello di sempre.”

Lara Marzo

Libri dell’autrice

Immagine in apertura di Nathan Lemon

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Tag: Last modified: 28 Ottobre 2024