Mamma coccodrillo aveva difeso fieramente le sue uova per tre lunghi mesi quando iniziò a vedere un movimento sotto il cumulo di sabbia: i suoi piccoli erano infine nati. Attese trepidante che emergessero per dar loro il benvenuto nel mondo.
Poi, gentilmente portò ogni piccolo verso l’acqua e li salutò, uno a uno, perché sapeva che non li avrebbe rivisti più. L’ultimo di loro, che era più debole degli altri, la pregò di non lasciarlo andare: voleva crescere con lei.
La madre, però, gli spiegò che era necessario che andasse anche lui per la sua strada e contasse sulle sue sole forze: solo così avrebbe intrapreso molte avventure e sarebbe cresciuto, perché quello era il destino di ogni coccodrillo. Riluttante il piccolo nuotò lontano promettendole, però, che sarebbe tornato da lei quando fosse cresciuto.
E il piccolo coccodrillo in effetti crebbe grazie a tutte le avventure che visse e le lezioni che imparò, ma vi fu raramente un momento nella sua vita in cui non sentì la mancanza della madre, coltivando il desiderio di ritrovarla e di raccontarle della sua vita.
Un giorno, molti anni dopo, egli divenne padre. Come i suoi piccoli uscirono dal guscio e furono portati delicatamente dalla loro madre verso l’acqua, lui capì infine l’importanza di quel rito: era necessario lasciar andare i propri figli affinché potessero fare le proprie esperienze. Disse loro che avrebbe sentito la loro mancanza, ma li lasciò andare perché quello era il loro viaggio e solo loro avrebbero potuto compierlo.
Aboriginal Dreamtime Oracle di Mel Brown (liberamente tradotto)
Tratto daImmagine in apertura di Ben Tofan