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Il nostro grande niente di Emanuele Aldrovandi

Recensione scritta da Silvana Pincione

Ci sono romanzi d’esordio potenti che colpiscono il cuore e la mente dei lettori come una freccia scoccata con precisione dal suo arco. Il nostro grande niente di Emanuele Aldrovandi è uno di questi.

Un modello narrativo conosciuto affrontato da una nuova prospettiva

La prima impressione, scorrendo le prime pagine, è quella di trovarsi davanti ad un modello già conosciuto altrove: il dolore di una giovane che si ritrova ad affrontare la scomparsa improvvisa del ragazzo a pochi giorni dalle nozze. L’incredulità, lo sgomento e la disperazione irrompono prepotentemente sulla scena, cristallizzati nel gesto della ragazza di portarsi alle labbra la tazza su cui il compagno aveva fatto colazione il giorno della tragedia:

Sul fondo ancora bagnato un sottile strato di latte. Te la porti alle labbra e ci infili il naso per sentire il profumo del caffè misto al cacao. Scoppi a piangere.

Il nostro grande niente di Emanuele Aldrovandi

Si tratta, tuttavia, di un’impressione che evapora velocemente mano a mano che ci si addentra nel vivo del racconto. Il primo elemento di scarto rispetto ad un modello di narrativa tradizionale è dato dal fatto che la coppia di giovani, come è chiaro fin dal principio, sono un lui e una lei di cui l’autore non ci rivela il nome, lasciando intuire a chi legge che non si tratta di un elemento necessario, né decisivo, a dare loro un’identità. Un ulteriore elemento che fa la differenza è la scelta della voce narrante, che si identifica in quella del ragazzo morto e si colloca in un non-luogo indeterminato, al di fuori delle normali coordinate spazio – temporali.

Dove sei, amore? Ma io non sono da nessuna parte e questo è un vero peccato. Sarebbe bello se una volta morti si potesse uscire da sé stessi per sedersi qualche minuto nel cinema deserto in cui è stata proiettata la propria vita.

Il nostro grande niente di Emanuele Aldrovandi

Una struttura dialogica per un incontro tra due dimensioni: materiale e immateriale

La prospettiva privilegiata di questo stato di onniscienza e ubiquità consente all’io narrante di seguire l’amata in tutti i suoi spostamenti e accompagnarla lungo il percorso del suo tran tran quotidiano, intercettandone, come una sentinella silenziosa, reazioni emotive e comportamenti. Ma non solo: si rivela anche un potente escamotage narrativo che promuove un meccanismo di interazione tra la realtà astratta, immateriale dell’io narrante e quella concreta e tangibile del tu a cui la voce narrante costantemente si riferisce, incanalando entrambe in una struttura dialogica, incisiva al di là della sua natura evidentemente fittizia – e dove è ben ravvisabile l’influenza della formazione teatrale dell’autore. Un’interazione altrimenti impossibile andando a riguardare due dimensioni incomunicabili tra loro, in quanto, come riporta la voce narrante:

Sarebbe bello poter piegare il tempo in due, come se fosse un foglio di carta, farci un buco e congiungere il presente con il passato. Io potrei essere ancora vivo, nel passato, e attraverso quel buco potrei allungare la mano e stringere la tua, nel presente.

Il nostro grande niente di Emanuele Aldrovandi

Il disincanto della morte e di una vita che continua: dalla disperazione alla malinconia

L’intrusione dell’io narrante che relega la giovane al ruolo di attrice della sua stessa vita, risponde in ultima analisi ad una finalità fondamentale: quella di mostrare, nella sua nudità dirompente, quanto accade nella vita di una persona cara una volta che il processo di elaborazione del lutto si è compiuto. La morte di chi abbiamo amato non è, infatti, un evento che arresta la vita di chi rimane e il fatto che non lo sia innanzitutto da un punto di vista meramente biologico – il solo atto di continuare a nutrirsi nonostante il lutto lo dimostra – è indicatore di come la vita continui comunque il suo corso, inesorabilmente.

La compagna della voce narrante, una volta rimasta sola, all’inizio fatica a trovare degli stimoli che la riportino a connettersi con la vita di tutti i giorni, ma, mano a mano che il tempo passa, riprende con impegno a svolgere il suo lavoro di editor, ad avere una vita sociale regolare e finanche ad impegnarsi sentimentalmente con un nuovo partner. La sua esperienza mostra – non senza disincanto e crudezza –  quanto non siamo realmente indispensabili nella vita di qualcuno e la morte è la gigantesca lente di ingrandimento che mette a fuoco senza sconti questa verità. La disperazione a tinte forti dell’inizio sbiadisce col passare del tempo in una palette di emozioni pastello, che virano dalla malinconia ad una forma di stoica rassegnazione.

Non è più la mancanza tagliente dell’inizio e non è neanche il dolore della perdita. È qualcosa di più diffuso: una vaga malinconia. […]

Hai imparato a non dare la colpa a nessuno. Le cose succedono e basta, non c’è niente da fare. Sei solo triste.

Il nostro grande niente di Emanuele Aldrovandi

Funzionale ad una rappresentazione anche grafica di questa transizione è la scelta di misurare in ogni capitolo la vita della giovane in giorni, a partire dal giorno zero della morte del protagonista. Scelta che promuove l’elemento tempo a discriminante dell’intero processo di evoluzione della vita umana dopo il lutto.

Ma se la prima parte del romanzo è tutta tesa a dimostrare tale assunto, attraverso la rappresentazione della realtà dall’alto di un universo parallelo, nella seconda l’autore spariglia le carte e opera un audace quanto spiazzante cambio di prospettiva. Il modello dualistico incarnato dai due protagonisti finisce qui con l’assumere una valenza universale, arrivando a riguardare in uguale misura la vita di ogni lettore e il tema della morte si arricchisce di riflessioni escatologiche e filosofiche. 

Scrittura informale, vicinanza emotiva con il lettore

La scrittura del romanzo è garbata, informale, dolceamara, a tratti autoironica, sdrammatizzante rispetto alla portata impegnativa dei temi che si appresta a trattare. Lo stesso fil rouge che lega l’io narrante al suo interlocutore consente di mantenere il tono entro un registro confidenziale, intimo pressoché costante che contribuisce a consolidare un legame di tipo emotivo con il lettore. Già, perché, se l’autore tace sui nomi dei protagonisti, arricchisce la loro biografia di tanti dettagli che attingono alla sfera della vita quotidiana con grande realismo. Così, ad esempio, apprendiamo fin dalle prime pagine che a lei – e a lei sola –  piacciono i biscotti Grancereali e il dentifricio con i microgranuli, ad entrambi leggere e visitare i cimiteri, che lui non crede in Dio ed è fan di Star Wars, che i loro amici in comune sono caratterizzati tutti da un nomignolo perché, a differenza dei nomi di battesimo, “i nomignoli uno se li deve guadagnare sul campo”.  Viene così facile identificarsi con il giovane protagonista nel fiore dei suoi anni, con i suoi sogni e con la sua voglia di vivere, così come lo è per tante coppie innamorate specchiarsi nell’universo affettivo dei due ragazzi, nei loro ricordi, nelle loro schermaglie amorose, nella loro complicità, in quella percezione di appartenere all’altro che porta a non temere “l’assurdità dell’esistere”:

Sono rimasto sveglio tante notti, pensando a questa assurdità dell’esistere per poi sparire […] Ecco, quello che volevo dirti […] è che finalmente riesco ad accettarlo. Non perché ci abbia trovato un senso, ma perché quando ci stringiamo prima di dormire[…] è come se le stringhe che compongono il tuo corpo si aprissero per unirsi a quelle del mio[…] Tu vivi un po’ attraverso di me, e io vivo un po’ attraverso di te. In questi momenti mi sento in grado di affrontare l’assurdità del tutto, perché almeno non la sto affrontando da solo, ma con te. 

Il nostro grande niente di Emanuele Aldrovandi

Il distacco dalle cose terrene tra malinconia e disincanto: il messaggio ultimo del romanzo

Ci sono romanzi d’esordio che si fanno ricordare per il messaggio che veicolano, come bottiglie affidate al mare che raggiungono la riva. Il nostro grande niente di Emanuele Aldrovandi è uno di questi. Ci lascia la malinconia del tempo che scorre e non torna, il disincanto dell’invito a maturare il distacco dalle cose terrene come parte integrante del processo di accettazione della fragilità della vita umana. Perché quello che conta, come insegna in Star Wars la saggezza di Yoda di cui si fa portavoce l’io narrante, è imparare “a lasciare andare ciò che si teme di perdere”. 

Emanuele Aldrovandi, nato nel 1985 a Reggio Emilia, è autore, drammaturgo e regista per teatro e cinema. Ha scritto numerosi testi teatrali avvalendosi di diversi riconoscimenti, tra i quali il Premio Riccione- tondelli, il Premio Fersen, il Premio Pirandello. Il nostro grande niente è il suo primo romanzo. 

Informazioni sul libro

Titolo: Il nostro grande niente
Autore: Emanuele Aldrovandi
Editore: Einaudi
Pagine: 200

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Immagine in apertura di Waldemar

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Tag: , Last modified: 11 Aprile 2025